TRAINER A BORDOCAMPO
Ma se c'è un giocatore che meritava un pizzico di fortuna, beh, era proprio JMDP. Il suo calvario è noto a tutti, così come i ricordi di un 2015 nero, in cui arrivò a tanto così dal ritiro. “Ma li avete visti i miei amici di Tandil, in tribuna? - dice – ecco, loro sono stati molto importanti”. La seconda parte della sua carriera gli ha dato gioie immense, ma non è finita qui. “Significa molto giocare un'altra finale Slam, non pensavo che ci sarei riuscito un'altra volta. Questo è il mio torneo preferito, i miei ricordi più belli li ho vissuti su questo campo, nel 2009, ma ero un ragazzino. Oggi sono molto più vecchio”. In questi nove anni si è sottoposto a quattro operazioni, tutte presso la Mayo Clinic di Rochester, in Colorado. In mezzo, ha saltato 14 tornei del Grande Slam e ha vissuto giorni duri, provando un sentimento simile alla depressione. Ma oggi è tutto alle spalle. Un nuovo coach (Sebastian Prieto) e un rovescio che col tempo ha trovato nuove vie. “Non so cosa ci sia di diverso nel mio gioco rispetto al 2009 – ha detto – forse, a causa degli infortuni, ho dovuto migliorare il rovescio in slice e imparare a giocare la smorzata. In questo senso, è stato positivo”. Il servizio e (soprattutto) il dritto hanno continuato ad essere letali. Nel pomeriggio di Flushing Meadows, uggioso ma senza pioggia, Nadal aveva chiesto la presenza del trainer a bordocampo ancora prima che il match iniziasse, ma nei primi game non ha dato particolari segni di difficoltà. Per due volte sotto di un break (con tanto di due setpoint annullati sul 5-4), si è rifugiato nel tie-break, ma lì del Potro ha giocato meglio, nonostante un'accanita resistenza in fase difensiva. Al primo cambio di campo nel secondo set, si è fatto nuovamente fasciare il ginocchio destro. Ben presto, ha iniziato a soffrire. Delpo è scappato 3-1, poi 5-2, infine 6-2. La mobilità di Nadal era via via compromessa: a fine secondo set pensava di andare avanti, ma l'ennesimo check con il fisioterapista lo ha convinto a lasciar perdere.