1965: discriminato perché professionista

Pierre Barthes scelse di diventare professionista quando i grandi tornei erano riservati ai dilettanti. Fu vittima di varie discriminazioni, tra campagne stampa e accesso negato al Roland Garros. Ma fu anche grazie a lui che il tennis prese coscienza di sé e, nel 1968, iniziò a diventare quello di oggi.

La sua scheda sul sito ATP è già un falso storico. Pierre Barthes non è stato “al massimo” numero 57 del mondo, nel 1974. Anni prima valeva almeno i top-20, ma le classifiche ATP non esistevano ancora. Fu l'ultima ingiustizia dell'ipocrita discriminazione di cui è stato vittima a cavallo tra gli anni 60 e 70, quelli della storica transizione da dilettantismo a professionismo. In questi giorni, il mondo del tennis sta (giustamente) festeggiando i 50 anni dell'Era Open. Il torneo di Bournemouth, cui presero parte 6 professionisti, ha aperto le porte al tennis come lo intendiamo oggi. Punti ATP, professionismo sfrenato e soldi. Tanti soldi. Prima di allora, il tennis aveva vissuto per 40 anni un'incredibile distinzione: da una parte i dilettanti, gli eroi senza macchia, che potevano giocare tutti i tornei più importanti. Dall'altra i professionisti, i “cattivi” che si erano venduti in cambio di soldi. Tra loro, uno stiloso francese. Pierre Barthes si era costruito da solo. Senza allenatore, senza lezioni, senza un padre (il suo era morto quando aveva appena 15 anni). Per questo, non gli sembrò vero quando lo chiamarono per chiedergli di diventare professionista. “Mi dissero che c'erano i migliori e che avrei giocato cinque set ogni sera, in singolo e in doppio. E che sarei diventato un grande giocatore – ricorda oggi Barthes, 77 anni portati splendidamente – ma quando la notizia è uscita sulla stampa sono stato massacrato. Mi hanno distrutto. Sono andato in Australia per allenarmi duramente ed è servito, visto che ho battuto tutti i più forti dell'epoca: Laver, Rosewall, Newcombe e Pilic. Fino ad allora non avevo mai giocato per soldi, ma l'avventura mi ha reso molto più forte”. All'epoca, prendere soldi per giocare a tennis era visto come una macchia indelebile, un'infamia. Chi lo faceva era considerato un untore, tanto che i dilettanti correvano il rischio di squalifiche anche soltanto affrontando un professionista.

INGRESSO VIETATO AL ROLAND GARROS
Ma tutti sanno che anche i dilettanti prendevano soldi per giocare: semplicemente, avveniva sottobanco. Era così sin dal 1926, quando furono organizzati i primi tornei Open, eppure faceva comodo a molti. Nel 1960 la federazione britannica chiese l'unificazione, ma la proposta non passò per una manciata di voti. La distinzione tra professionisti e dilettanti ha inquinato l'albo d'oro degli Slam per moltissimi anni. Ancora oggi, ci si domanda che percezione avremmo della storia se Laver e Rosewall non avessero saltato 64 Slam in due (20 il primo, 44 il secondo). Sentite Barthes: “Per sei anni non ho potuto giocare gli Slam. Inoltre mi era assolutamente vietato entrare al Roland Garros. Ero appena tornato dagli Stati Uniti, non vedevo l'ora di ritrovare i miei amici, ma mi trovai il direttore del torneo a bloccarmi l'ingresso”. Non si diede per vinto e fece parte degli “Handsome Eight”, i magnifici otto che firmarono il primo contratto con Lamar Hunt, fondatore del WCT: Ken Rosewall, Rod Laver, Andres Gimeno, Nikki Pilic, Manolo Santana, John Newcombe, Cliff Drysdale e lo stesso Barthes. “Fu Hunt a gettare le basi del tennis come lo intendiamo oggi. Intendeva il tennis come spettacolo e divertimento, voleva che la gente partecipasse prima, durante e dopo il punto”. Un visionario, il primo a gettare le basi verso quello che sarebbe diventato il nostro sport. Il WCT si giocava in palazzi enormi, pensati per il basket e l'hockey su ghiaccio. “Ed erano pieni! - ricorda Barthes – avevamo le macchine con i nostri nomi, spogliatoi dedicati, giocavamo con abiti colorati. Quando entravo in campo io, suonava la marsigliese ed ero illuminato da un fascio di luce nell'oscurità. In confronto, il Roland Garros era un torneo per straccioni”. Il delirio durò per qualche mese, poi Hunt riportò il suo circuito su standard tradizionali perché qualcuno aveva esagerato, a partire dal pubblico. Però i soldi circolavano, costringendo il tour tradizionale a prendere atto di quello che stava succedendo.

LA RIVINCITA SU CHATRIER
Un professionista poteva guadagnare fino a 200.000 dollari all'anno, mentre il vincitore del Roland Garros intascava appena 54.000 franchi (circa 10.000 dollari). “Personalmente ho guadagnato di più organizzando un torneo a Cap d'Adge che al Roland Garros, però devo riconoscere che Philippe Chatrier si è impegnato molto per migliorare le condizioni per i tennisti”. Lo stesso Chatrier a cui oggi è dedicato il campo centrale del Roland Garros, e con cui Barthes poté togliersi più di un sassolino. “Quando vinsi il doppio allo Us Open, mi avvicinò e disse che ero stato fantastico. L'anno dopo sarebbe diventato capitano di Coppa Davis e mi chiese di tornare in squadra. Gli dissi che avrebbe dovuto chiamarmi lui, dopo avermi disprezzato per tanti anni e impedito di entrare al Roland Garros. Lo fece”. Le cose erano cambiate proprio a Parigi, in Place de la Concorde, quando il 30 marzo 1968 la federazione internazionale stabilì 12 tornei aperti ai professionisti, spalmati su otto paesi. Bournemouth sarebbe stato il primo. Con l'avvento dell'Era Open, Barthes ha potuto vivere un sereno finale di carriera, con gli ottavi al Roland Garros e a Wimbledon, ma senza i risultati che avrebbe raggiunto se l'Era Open fosse stata inaugurata qualche anno prima, magari nel fatidico 1960. Fu grazie al suo coraggio, e alle intuizioni di personaggi come Lamar Hunt (e, ancora prima, Bill Tilden e Jack Kramer) se il tennis è uscito dalle anacronistiche pieghe del dilettantismo fino a diventare uno degli sport più popolari al mondo. È esagerato etichettare i professionisti di allora come martiri, ma senza di loro sarebbe stato molto più difficile per chi è venuto dopo. Se Roger Federer è una delle persone più influenti al mondo, se Maria Sharapova è stata per anni l'atleta più pagata al mondo, e se Novak Djokovic ha incassato oltre 100 milioni di dollari di soli montepremi, il merito è anche di chi si è visto discriminare negli anni 60. E si vedeva rifiutare l'ingresso al Roland Garros.

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