QUELLE VITTORIE EPICHE
Sampras era tanto noioso fuori dal campo quanto entusiasmante quando impugnava la sua Pro Staff da quasi quattro etti. E aveva doti morali importanti, nascoste da quell'aria un po' naif e lo sguardo perso nel vuoto. Ci sono episodi che lo dimostrano. È stata forse noiosa la finale di Coppa Davis 1995? Quell'anno, lui e il suo rivale Andre Agassi fecero un patto d'acciaio: avrebbero cercato di vincere l'Insalatiera. Agassi si fece male prima della finale a Mosca, ma Pete non venne meno all'impegno. Giocò una partita straordinaria contro Andrei Chesnokov, su un campo ridotto a pantano, laddove due mesi prima ci aveva rimesso le penne Michael Stich. Vinse in cinque set, privo di energie. Lo portarono fuori a braccia, senza neanche la stretta di mano all'avversario. D'altra parte, Pete ha convissuto per tutta la carriera con una forma di anemia che non lo ha certo aiutato. Ma quel weekend decise di dare tutto. Tornò in campo il giorno dopo, in doppio con Todd Martin, e vinse. Vinse anche alla domenica, contro Kafelnikov, regalando agli Stati Uniti una delle Davis più belle della storia. Molti giocatori di oggi, dal ritiro e dalla scusa facile, avrebbero fatto i capricci per il solo forfait del proprio compagno di squadra. Lui non fece una piega e fu epico. Purtroppo per lui, dieci anni prima avevano girato Rocky IV. Al ritorno in patria, nella finzione cinematografica, il pugile impersonato da Sylvester Stallone fu accolto con tutti gli onori. Sampras aveva trasportato nella realtà l'impresa del “buono” americano a casa del “cattivo” russo (non più sovietico) e sperava che il successo avrebbe avuto più risonanza. Invece arrivò negli States e nessuno lo considerò, come se non fosse successo nulla. Ci rimase talmente male da mettere in un angolo la Davis per il resto della carriera. Pete Sampras era un essere umano, non si nascondeva. Come allo Us Open 1996, quarti di finale, contro Alex Corretja. Non stava bene, e il vomito nel corso del match ce lo raccontò con crudeltà. Nonostante abbia rigettato le ultime tre cene sul Decoturf, si buttava a rete su ogni palla e la spuntò 7-6 al quinto, con tanto di matchpoint annullato. Quel vomito, tanto sgradevole alla vista, fu simbolo di epicità: nonostante una reazione fisica che non poteva in nessun modo controllare, riuscì a restare in campo e vincere la partita. Già che c'era, vinse il torneo. Noia? No, emozioni pure.