GOFFIN LOTTA FINO ALL'ULTIMO
Il tecnico venezuelano, già al fianco di Murray e di Berdych, gli ha chiesto di semplificare il suo tennis, lasciar andare tutto il suo talento senza pensare a chissà quali alchimie tattiche. Settimana dopo settimana, le cose sono migliorate. “Con il giusto stato d'animo, le giuste persone accanto, e un buon sostegno, le cose accadono – dice Dimitrov – quel periodo mi ha aiutato molto, ne avevo bisogno. Mi sono reso conto delle cose su cui avrei dovuto lavorare, e chi erano i veri amici. Davvero, ho imparato un mucchio di cose”. Dopo il matchpoint si è lasciato andare a un mix di gioia e commozione. Sul campo, era sull'orlo delle lacrime. Prima ha abbracciato Goffin, poi è corso al suo angolo per abbracciare Vallverdu, i genitori e tutte le persone del suo team. La finale è stata più complicata del previsto, specie tenendo conto del 6-0 6-2 rifilato al belga nel girone. Era la 17esima volta che il Masters si decideva tra due tennisti che si erano già affrontati nel round robin, e la storia insegna di come spesso il punteggio si ribalti. Poteva andare così anche stavolta: Goffin scattava meglio dai blocchi, volando 4-3 e servizio nel primo set, ma un dritto lungo rimetteva il bulgaro in partita. Il pubblico era quasi tutto per lui, al punto che abbiamo sentito spesso scandire il suo nome, e non soltanto dai tanti connazionali sugli spalti: “Di-mi-trov! Di-mi-trov!”. Grisha capiva il momento, alzava il livello e intascava il primo set al dodicesimo gioco. “In quel frangente ho dato il massimo perché pensavo che sarebbe stata la chiave”. Invece, a sorpresa, Goffin ha continuato a mordergli le caviglie: prima cancellava una palla break sul 2-3 con un sontuoso rovescio incrociato, poi prendeva il largo nel game successivo grazie a due dritti vincenti, uno dopo l'altro. Stavolta manteneva il vantaggio e si aggiudicava il parziale grazie a un gran rendimento al servizio: in cinque turni di battuta, ha ceduto la miseria di cinque punti.