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Marco Caldara
27 December 2017

"Nole" è pronto per tornare a dominare

A 170 giorni dal suo ultimo match, Novak Djokovic tornerà in gara venerdì nel torneo-esibizione di Abu Dhabi, vinto già tre volte. In un'intervista a tutto tondo con Sport360 il campione di Belgrado parla chiaro: "Non sarei onesto - dice - se nascondessi di puntare al numero uno del mondo, e a vincere di nuovo i tornei del Grande Slam".
Il conto alla rovescia sta per finire. Fra meno di 48 ore Novak Djokovic sarà di nuovo in campo al Mubadala World Tennis Championships di Abu Dhabi, a 170 giorni dal ritiro dal torneo di Wimbledon, al quale è seguito il più lungo stop della sua carriera. Per sistemare il gomito dolorante senza l’aiuto della chirurgia ci sono voluti quattro mesi e mezzo senza toccare racchetta, che anno fatto sprofondare il campione serbo al numero 12 della classifica ATP. Non era così indietro da dieci anni, ma dopo una preparazione iniziata a Monte Carlo, transitata da Bordighera e ultimata a Dubai, il 30enne di Belgrado è pronto ad andare a riprendersi ciò che gli spetta, con molti colleghi che puntano su di lui come dominatore del 2018. In attesa di saperne di più a Melbourne, ecco il primo test nel classico torneo di esibizione di Abu Dhabi, che nel giro di pochi giorni ha perso Nadal, Wawrinka e Raonic, ma avrà comunque tutti gli occhi degli appassionati del mondo per il ritorno di “Nole”, che ha partecipato e vinto tre volte. Proprio negli Emirati Arabi Uniti, dove sarà al via insieme a Dominic Thiem, Kevin Anderson, Pablo Carreno Busta, Roberto Bautista Agut e Andrey Rublev, Djokovic ha rilasciato una lunga intervista al portale Sport360, in cui ha toccato svariati argomenti. Dai problemi all’imminente ritorno in campo, gli obiettivi, il nuovo team, la programmazione e il futuro, ma anche la famiglia, la paternità e tanto altro. Vi proponiamo i passaggi più significativi.

I PROBLEMI AL GOMITO
“Per un anno e mezzo è stato come andare sulle montagne russe. Nel corso della mia carriera non avevo mai avuto operazioni, né problemi gravi che mi tenessero così a lungo lontano dai campi, e non avevo mai saltato un torneo del Grande Slam. È stata una decisione difficile, che non sono stato in grado di prendere fino a quando non è diventata inevitabile. È stato come se l’universo mi stesse inviando un messaggio. Non riuscivo più a giocare, praticamente non riuscivo più ad alzare il braccio. Non avevo scelta. Grazie all’infortunio ho imparato una lezione importante: non voglio assolutamente permettere mai più a un infortunio di arrivare fino a quel punto. Non è stato facile vedere il tennis in TV per tanti mesi, e non vedo l’ora di tornare di nuovo in campo. Tuttavia, credo che sia stata comunque una buona esperienza, forse necessaria, visto che non mi era mai capitato nulla di significativo. Ho sempre cercato, e lo farò ancora, di prendermi cura di me stesso, del mio corpo, di fare stretching, e di rispettare l’intero protocollo di cose da fare prima, durante e dopo gli incontri”.

LA CURA DEL SUO CORPO
“Nella mia vita ho speso un sacco di tempo per cercare nuove vie per permettere al mio corpo e alla mia mente di trovare capacità di recupero e un livello di performance sempre migliori, e durante questi mesi lontano dal campo ho provato a studiare il più possibile. Siamo fortunati ad avere tante modalità diverse di allenamento, così ho sfruttato questo tempo per scavare in profondità e imparare sempre di più. È la prima volta che non tocco racchetta quattro mesi e mezzo, e sono riuscito a colpire di nuovo bene la palla sin dal primo allenamento. Tuttavia, la questione più importante è che muscoli, legamenti e articolazioni devono recuperare il tono e rinforzarsi, per tornare ad abituarsi a sopportare lo stress del gioco”.

DURANTE L’ASSENZA
“Per la prima volta da quando ho iniziato a fare il professionista ho avuto l’opportunità di avere tanto tempo libero, per rilassarmi mentalmente e fisicamente, riposare, ed essere sia presente a fianco di mia moglie durante la nascita di nostra figlia, sia più presente per nostro figlio. Ma sono riuscito a fare tante altre cose, che mi hanno sempre affascinato ma non ho mai trovato il tempo per fare. Mi sono dedicato di più alla mia fondazione, partecipando a dei meeting, e ho preparato alcuni progetti. Ho trovato ispirazione in tante cose che erano sempre state in standby, e lo torneranno ora. Credo che fare un passo indietro e vivere per un po’ una vita normale permetta di imparare a vedere le cose da una prospettiva più ampia, e capire cosa in futuro andrà fatto meglio. In definitiva, ho avuto molto più tempo da dedicare anche a me stesso, per capire a che punto sono nella mia vita”.
LA PATERNITÀ
“La paternità, per me, ha sbloccato una nuova dimensione. Provare quell’amore incondizionato, cura e attenzione per i propri figli, è qualcosa che non avrei mai pensato esistesse. Quando nella vita mia e di mia moglie è arrivato Stefan abbiamo pianto di gioia, di felicità e di gratitudine, per aver ricevuto la possibilità di poter essere genitori. Il suo arrivo ci ha permesso di imparare a capire cosa conta veramente nella vita. Da atleta professionista, pensi che la vera felicità siano i risultati, fare la storia, questo, quello, e bla bla bla. È tutto bello, ma non è ciò che conta di più. Questo non riempirà il tuo cuore per sempre. Essere genitori insegna cosa sia veramente la vita, e quale è lo scopo di ognuno di noi: condividere conoscenze, esperienza, amore ed emozioni. Mi piace fare l’esempio della candela: le persone pensano sempre di non essere in grado di cambiare il mondo, perché la terra ha sette miliardi di abitanti e una persona da sola è troppo piccola. Ma una candela può accendere milioni di altre candele, senza mai perdere il suo fuoco. Questo mi serve a ricordarmi quanto siamo importanti per gli altri e quanto possiamo condizionare altre persone. Mi dà un senso di responsabilità nei confronti dei miei figli: la cosa migliore che mi potesse capitare”.

L’INNESTO DI STEPANEK
“Io e Radek abbiamo sempre condiviso molte cose, e ora lo possiamo fare ancora di più perché non siamo più dalla parte opposta della rete. Stiamo passando molto tempo insieme e non vedo l’ora di conoscerlo ancora meglio. Sono stato molto felice delle nostre due settimane di allenamento a Monte Carlo. C’era anche Andre Agassi e quella con lui è stata la settimana perfetta, perché c’era tutto il mio nuovo team, e giorno dopo giorno ci siamo posto insieme degli obiettivi, quotidiani o a lungo temine, e abbiamo discusso su come il mio gioco possa ancora migliorare e sul modo per giocare il miglior tennis possibile spendendo la minor quantità di energie. Radek è uno dei giocatori arrivati a competere più in là con l’età, e ha sicuramente un sacco di consigli da darmi su come poter tenere mente e corpo freschi per competere molto a lungo. Penso che si sia calato molto rapidamente nel suo nuovo ruolo di allenatore, e visto che ha appena smesso conosce alla perfezione tutto ciò a cui andiamo incontro. E poi è sempre stato un osservatore attento e ha un approccio al tennis molto intellettuale, fattore che gli permettere di andare molto d’accordo con Agassi. Entrambi semplificano molto le cose: a volte io mio perdo nel cielo, e passo da una nuvola all’altra, mentre loro mi aiutano a concentrarmi sulle cose semplici”.

L’AIUTO DI AGASSI
“Andre ha un approccio intelligente e saggio sia al tennis sia alla vita in generale, e questo mi ha permesso di avere una prospettiva diversa di chi sono e di ciò che faccio nel mondo da tennis. La cosa che mi ha impressionato di più di lui è la sua capacità di trovare in dei discorsi molto complicati una risposta specifica, quell’informazione in grado di portarti esattamente in quella direzione che cercavi per ottenere ciò che vuoi. Quella parte di lui è sorprendente, e sia io sia Radek stiamo imparando tanto da lui”.
GLI OBIETTIVI PER IL RITORNO
“Non sarei onesto, né con la gente né con me stesso, se dicessi che non punto a tornare numero uno del mondo e a vincere di nuovo i tornei del Grande Slam. L’ho già fatto, ho provato a me stesso che ne sono in grado, quindi perché non puntare ancora a quello? La forza di volontà non mi manca, e quella è la cosa più importante. Un obiettivo è necessario volerlo sul serio, sognarlo, crederci tantissimo. Sono in questa posizione. E non solo io, ma anche la mia famiglia, mia moglie, i miei figli, i miei genitori, i miei fratelli e il mio team. Tutti ci credono, e mi danno l’energia di cui ho bisogno. Ci sarà da valutare la situazione del gomito, ma gli obiettivi sono questi. Senza fretta. Anche se non dovessi farcela nel 2018, ci proverò l’anno successivo. Non sarei soddisfatto di traguardi diversi da quelli che ho citato prima”.

LA PROGRAMMAZIONE
Per il momento nel mio calendario ci sono solo Abu Dhabi, Doha e l’Australian Open. E sicuramente tutti gli altri grandi tornei dell’anno. Per ora c’è un punto di domanda sulla settimana di Acapulco e Dubai: negli ultimi 6-7 anni ho sempre giocato, mentre per il momento ancora non lo so. Come non so se giocherò o meno la Coppa Davis. Dipenderà molto da come il mio gomito si comporterà in queste prime settimane di tornei e allenamenti. Spero che non mi dia problemi e punto ad andare avanti a Melbourne. Gli obiettivi sono gli stessi di prima, anche se cercherò di essere un tantino più paziente, e di non dimenticarmi che arrivo da un infortunio. Devo starci attento. Per il momento il mio calendario è simile a quello degli altri anni, ma ne saprò di più in base a come andrà il mese di gennaio”.

IL FUTURO
Sì, mi vedo a giocare fino all’età di Federer, e anche più tardi. Non voglio porre alcun limite né alla mia carriera, né a qualsiasi altra cosa io faccia. I limiti esistono solo nella mente. Chi ha detto che a 30 anni o dopo non si può ancora essere al massimo della condizione fisica? Connors era in semifinale allo Us Open a 40 anni (per precisione erano 39, ndr), e Federer alla sua età vince ancora degli Slam. Credo fortemente che noi stessi siamo gli unici padroni del nostro destino e del nostro percorso. Bisogna solo capire cosa si desidera sul serio e quanto si è disposti a dare per ottenerlo. Se mi chiedessero oggi se sono soddisfatto della mia carriera risponderei di sì, senza dubbio. Lo devo essere. Ma se mi chiedessero se penso sia sufficiente così, risponderei di no. Sarei felice di quanto fatto, ma voglio fare ancora”.
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