UN TIE-BREAK DA URLO
In fondo il servizio non è una sassata (ha tirato 9 ace e 7 doppi falli), il dritto ha un'apertura un po' troppo ampia, mentre il rovescio sembra trasmettere fragilità. E invece no: per una volta, un'estetica da copertina si fonde con l'efficacia. E forse sarà proprio Denis la risposta per chi non dorme la notte al pensiero del ritiro di Roger Federer. Il paragone è blasfemo e non vuole scatenare chissà quale parallelo, ma il suo tennis ricorda vagamente quello di Rod Laver. Dopo di lui, negli ultimi 40 anni, nessuno ha mai giocato a tennis in questo modo. Denis “sente” la palla come pochi e ogni suo colpo ha la durezza di uno schiaffo e l'eleganza di una carezza. Una libidine visiva che però non piace ai suoi avversari: se Juan Martin Del Potro era franato in 40 errori gratuiti, Nadal ha fatto la sua partita. Gli sarebbe bastato arrivare in semifinale per tornare al numero 1 ATP, ci teneva da matti. Ma il biondo di Tel Aviv, figlio di russi, cresciuto a Toronto, ha raggiunto uno stato di erezione agonistica che si è sublimato nel tie-break decisivo: sotto 0-3, dal 3-4 ha fatto cose inenarrabili: ace e dritto vincente a spazzolare la riga per firmare il sorpasso. Nadal, sorpreso da cotanta solidità, ha buttato in mezzo alla rete un dritto non difficile e gli ha regalato due matchpoint. Gli è bastato il primo: un dritto lungolinea ha bucherellato Rafa e lo ha spinto in paradiso, insieme alla gente dell'Uniprix Stadium, che ha fatto un tifo scatenato. Nonostante da quelle parti si parli in francese, sul 3-3 del tie-break è partito, spontaneo, un vigoroso “Let's go, Denis!”. Lui non ha tremato, anzi, ha tratto linfa vitale dall'amore del pubblico. Se contro Del Potro gli avevano “spaccato i timpani”, contro Nadal hanno portato adrenalina ai suoi muscoli acerbi, nascosti in un fisico un po' così: carnagione chiara, capelli biondissimi, occhi celesti.