Riccardo Bisti
04 December 2017

Mouratoglou e le motivazioni di un giocatore

Patrick Mouratoglou spiega il suo approccio al lavoro con un giocatore. Spesso, tuttavia, capita le ambizioni del tennista non coincidano con quelle dell'allenatore. La sua partnership con Marcos Baghdatis si è chiusa perché il cipriota si è sentito appagato. Oggi i rapporti tra i due non sembrano straordinari, ma i risultati danno ragione a “Mou”.

I fatti hanno dato ragione a Patrick Mouratoglou. E allora, il mitico coach francese – con una certa eleganza – ha illustrato la sua filosofia di coaching utilizzando Marcos Baghdatis come paradigma del giocatore ambizioso, “ma fino a un certo punto”. I quattro minuti che potete vedere qui sotto hanno un forte sapore motivazionale: tuttavia, esiste un retroscena più complesso. Marcos Baghdatis è nato a Cipro da un padre libanese (si era trasferito perché aveva un negozio di abbigliamento a Limassol) e mamma di origine greca. Non amava il tennis, ma aveva un grande talento. Nel 1999, dopo una serie di ammiccamenti, ottenne una borsa di studio che gli permise di trasferirsi presso l'Accademia di Mouratoglou, che all'epoca si trovava a Montreuil, poco fuori Parigi (la sede attuale si trova in Costa Azzurra, a due passi da Antibes). In quel momento, la figura di Mouratoglou rappresentava il "nemico" tennis e dunque il rapporto tra i due non è sempre stato idilliaco. Nel 2005, il cipriota è arrivato tra i top-100 ATP e si ritenne appagato, poiché aveva soddisfatto i desideri paterni. Ma nel 2006, un po' a sorpresa, colse una straordinaria finale all'Australian Open, accompagnata dalla semifinale a Wimbledon e un posto tra i top-10 ATP. Qualche tempo dopo, la collaborazione con Mouratoglou sarebbe terminata. “Quando conosco un giocatore, la mia idea è avere un approccio globale – spiega l'attuale coach di Serena Williams – per avere successo, devi iniziare pensando di non sapere niente. Hai davanti un libro di pagine bianche, tutte da riempire. Devi capire chi è, cosa pensa, come vive il tennis e che tipo di motivazione ha. Inoltre, è importante valutare le persone che gli stanno accanto: c'è chi ha un'influenza positiva e chi ce l'ha negativa. Senza fretta, devi prenderti tutto il tempo per comprendere la situazione complessiva. All'inizio non puoi sapere cosa devi fare, ma devi sforzarti di capire perché occupa quella posizione in classifica, valutare i suoi punti di forza, le sue debolezze e il suo comportamento. Una volta che hai tutte le informazioni, puoi iniziare a lavorare”.

PERCHÈ CAMBIARE UNA STRATEGIA VINCENTE?
Poi, però, può succedere che le ambizioni del giocatore non siano più in linea con quelle del tecnico. Sentite Mouratoglou: “Con Marcos Baghdatis è successo quello che accade a molti giocatori. Tutti hanno un sogno o un'idea: per molti, l'ingresso tra i top-100 è il sogno di una vita. Poi dicono che vogliono diventare numero 1, ma pochi ci credono per davvero. Desiderare una cosa è un conto, volerla sul serio è diverso. Tanti giocatori si sentono arrivati quando raggiungono un obiettivo che porta soldi e una certa celebrità, soprattutto nel loro Paese. Si sentono esattamente dove avrebbero voluto arrivare”. Maquesti giocatori potrebbero volere di più? “Certo, ma non sono disposti a sacrificarsi per averlo. Hanno la sensazione che se continuano così, avranno sempre la stessa carriera. Una carriera sufficiente per guadagnare soldi. Non vogliono rischiare e nemmeno spostare l'asticella verso l'alto. Sono stanchi fisicamente e mentalmente. È quanto successo con Marcos”. Secondo i ricordi del tecnico francese, Baghdatis non è mai stato particolarmente diretto su questo punto, ma ci fu una conversazione emblematica. Una volta, il cipriota gli disse che, se avesse faticato troppo in allenamento, non avrebbe reso in partita. “Io gli risposi che allenandosi così era entrato tra i top-10, ma replicò dicendo che adesso era tutto diverso. Come diverso? Perché diverso?”. Inevitabilmente, la loro partnership è terminata. Neanche troppo bene, a giudicare dalle parole di Baghdatis. Continua Mouratoglou, tornando a essere generico: “Alla lunga certe scelte sono un rimpianto perché il giocatore capisce di aver commesso un errore. Capita spesso che dopo un anno un tennista mi chiami, ammettendo l'errore e chiedendo di tornare a lavorare con me, ma io ormai sono impegnato con un altro. La mia esperienza con Marcos Baghdatis dice molto su come sono la maggior parte dei giocatori”. E come sono, dunque? “Hanno ambizione, ma fino a un certo punto. Poi dicono 'ok, è abbastanza, non riusciamo a fare di più'. Purtroppo hanno ragione, perché ognuno diventa quello che crede di poter diventare”.

I FATTI STANNO CON MOU
​Pur avendo frequentato l'accademia di Mouratoglou per tanti anni, Baghdatis ha spesso sminuito il suo lavoro con lui. In certe situazioni lo ha definito più un “agente” che un coach. Pur riconoscendogli un certo sostegno sul piano economico, dice di aver lavorato pochi mesi con lui sul piano tecnico. “Ero seguito direttamente da altri coach” ha detto il cipriota. Quando Mouratoglou ha iniziato a lavorare con Serena Williams. guidandola al primo titolo a Wimbledon, Baghdatis ridimensionò l'influenza del suo ex coach. “Serena ha già vinto 12 Slam: 11 senza di lui e uno con lui. Non penso che abbia cambiato molto nel suo gioco. Penso che lei sia una grande giocatrice e lui sia fortunato a trovarsi lì”. L'ha detto cinque anni fa. Da allora, sotto la guida di “Mou”, la Williams ha intascato altri 10 Slam a velocità supersonica, ha sfiorato il Grande Slam nel 2015 e quest'anno si è fermata soltanto a causa della maternità. Evidentemente, la mano del coach è stata importante. Al contrario, e al di là dei successi nella vita personale (si è sposato con l'ex giocatrice Karolina Sprem e ha avuto tre figli), Baghdatis ha fronteggiato un mucchio di infortuni ed è spesso costretto a giocare i Challenger per costruirsi una classifica ATP decente. Ha chiuso la stagione con l'ennesimo infortunio e attualmente si trova al n. 103 ATP. Non sappiamo quante ore abbia trascorso Patrick Mouratoglou con Marcos Baghdatis, almeno sul campo da tennis. Ma non c'è dubbio che abbia detto cose giuste. E se è arrivato a dirlo, evidentemente, aveva le sue ragioni.

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