Marco Caldara
08 March 2018

Raonic tenta anche la carta Ivanisevic

All'angolo di Milos Raonic arriva l'ennesimo supercoach: a Indian Wells e Miami prova a lavorare con Goran Ivanisevic, per poi decidere se iniziare una collaborazione. Ma più che la guida tecnica, il suo problema è il fisico di cristallo. Lo scorso anno ha giocato a singhiozzo e nel 2018 ha vinto un solo match, scivolando al numero 38 del mondo. E pensare che due anni fa sembrava pronto a vincere uno Slam...
Nel 2016, al BNP Paribas Open di Indian Wells Milos Raonic giocava la sua terza finale in un Masters 1000, uno dei momenti topici della sua miglior stagione in carriera, coronata con la finale sui prati di Wimbledon e l’approdo sul terzo gradino della classifica ATP. Ventiquattro mesi dopo, invece, il gigante nativo di Podgorica non è nemmeno considerato fra i potenziali outsider, perché a certi livelli non si vede da un pezzo, a causa di un 2017 a singhiozzo (e avaro di risultati) per una lunga serie di noie fisiche, il più grande problema delle ultime stagioni. Si è battuto per un calendario più corto, ma è chiaro che la sua fragilità non dipende solamente dall’alto tasso di impegni, e anche se le sue potenzialità non sono cambiate, le prospettive della sua carriera paiono aver preso una piega ben diversa. Un paio di anni fa in molti scommettevano su di lui come primo Slammer nato negli Anni ’90, posizione peraltro ancora vacante, mentre ora deve provare a ricostruire tutto da capo, a partire dal proprio team, che negli anni ha visto entrare parecchi supercoach: da John McEnroe a Richard Krajicek, passando per Carlos Moya e Mark Knowles. La guida fissa era sempre stato Riccardo Piatti, ma il tecnico comasco l’ha lasciato al termine della scorsa stagione spiegando che cercava nuove sfide (evidentemente trovate con Borna Coric) e Milos è rimasto col solo Javier Piles, integrato al team lo scorso ottobre. Sta provando a correre ai ripari: a Delray Beach ha fatto una prova con Jonas Bjorkman, mentre a Indian Wells si è presentato in compagnia di Goran Ivanisevic. La loro è una prova: lavoreranno insieme in California e poi a Miami, per poi decidere se dare il via a una collaborazione a tempo pieno.
IL PROBLEMA È IL FISICO, NON IL COACH
Per Ivanisevic sarebbe il terzo impiego di un certo livello, dopo la collaborazione con Tomas Berdych e quella – più soddisfacente – col connazionale Marin Cilic, guidato al titolo allo Us Open, una delle più grandi sorprese dell’ultimo decennio di tennis ATP. Raonic spera di trovare nell’aiuto dell’ex campione croato la benzina per riprendere il percorso abbandonato lo scorso anno, o almeno per tornare nelle posizioni di classifica che gli competono. Nei tre tornei disputati nel 2018 il canadese ha vinto un solo incontro, perdendo subito a Brisbane e Melbourne e poi battendo Taro Daniel a Delray Beach, prima di arrendersi a Steve Johnson. Le conseguenze della sua crisi si vedono a occhio nudo nel ranking: è sceso addirittura al numero 38 del ranking, tanto da aver ottenuto solo in extremis la 32esima e ultima testa di serie, che gli permetterà di esordire al secondo turno, peraltro contro un connazionale, il vincitore del duello fra Vasek Pospisil e il baby fenomeno Felix Auger-Aliassime. C’è da scommettere che se riuscirà a star bene lo rivedremo presto almeno fra i primi 10 del mondo, ma è difficile dire se Ivanisevic possa essere l’uomo giusto per riportarlo in alto. Di sicuro è uno il declino l’ha toccato con mano e l’ha sconfitto, riuscendo a vincere il tanto ambito torneo di Wimbledon quando ormai non ci credeva più nessuno, ma più che dal tennis il futuro di Raonic dipende dal fisico, un avversario che nessuno dei tanti collaboratori ingaggiati – compresi preparatori atletici, fisioterapisti e osteopati – è riuscito ad aiutarlo a sconfiggere. La bella notizia è che non ha smesso di provarci: a Delray Beach ha raccontato di voler cambiare qualcosa nel proprio stile di vita, provando a fare qualche piccola attività sportiva anche nei giorni senza tennis, così da tener sempre attivo il proprio corpo. Basterà?
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