Marco Caldara
03 January 2018

Michael Mmoh, il tennista dei Cinque Continenti

Il padre è nigeriano ma ha anche la cittadinanza americana, sua madre è metà irlandese e metà australiana, lui è nato in Arabia e cresciuto a Washington, e gioca per gli Stati Uniti. È l’incredibile cocktail di origini e continenti che rende Michael Mmoh il tennista più internazionale del Tour. Sta vivendo una bella cavalcata a Brisbane: da qualificato è ai quarti.
Il tennis è uno degli sport più globali del mondo: nella top-100 al maschile sono rappresentate ben trentotto nazioni, di tutti i cinque continenti. E presto potrebbe raggiungerla anche un giocatore che i continenti li può rappresentare tutti, da solo, grazie a una storia famigliare che spazia fra Africa, Oceania, Europa, Asia e America. Si tratta di Michael Mmoh, che da qualificato si è appena regalato a Brisbane il suo primo quarto di finale nel Tour, grazie alla vittoria per 6-2 5-7 6-4 contro Mischa Zverev. 21 anni da compiere il prossimo mercoledì, Mmoh gioca per gli Stati Uniti, ma volendo potrebbe difendere i colori di altri quattro paesi, grazie alle origini e ai trascorsi di mamma e papà. Suo padre Tony, che oggi lavora ad Atlanta nel mondo del marketing sportivo, è nato e cresciuto a Lagos, in Nigeria, ma è emigrato da ragazzo in North Carolina, dove ha giocato per il St. Augustine College, prendendo la nazionalità statunitense. Da professionista è stato numero 105 del mondo nel 1987, e ha rappresentato il paese africano ai Giochi Olimpici di Seul ‘88. È proprio grazie al tennis che ha conosciuto Geraldine O'Reilly, madre di Michael, irlandese dal doppio passaporto, grazie alle origini australiane dei genitori. Infermiera, negli Anni ’90 era a Riyadh per assistere la nazionale saudita di Coppa Davis, quando ha incontrato Tony. Dal loro matrimonio sono nati prima una figlia e poi Michael, entrambi in Arabia Saudita, prima che la famiglia si trasferisse a Washington. È lì che Mmoh ha iniziato a giocare a tennis, seguito inizialmente da papà, prima di trasferirsi a 13 anni alla IMG Academy di Bradenton, dove fa base tutt’ora sotto la guida di Glenn Weiner.
I CAMBIAMENTI PAGANO IN FRETTA
Il mix di culture basta da solo per renderlo un personaggio interessante, ma il giovane sta dimostrando di avere anche i mezzi per diventare un giocatore vero. Qualche giorno fa il sito ATP lo citava fra i dieci nomi nuovi da tenere d’occhio nel 2018, e lui non ha perso tempo. Al Brisbane International ha superato le qualificazioni, martedì ha vinto contro Federico Delbonis il suo primo match in carriera nel Tour, e all’indomani si è ripetuto contro il più grande degli Zverev, conquistando un posto nei quarti di finale. “Il mio telefono è letteralmente esploso di messaggi – ha raccontato in un’intervista con l’ATP –, ed è una splendida sensazione. Sono davvero felice perché cercavo le prime vittorie nel Tour da tempo. Ho avuto una off-season molto buona, sia a Bradenton e sia al centro USTA di Orlando. Ho lavorato duramente e ho apportato alcuni cambiamenti al mio gioco: mi fa piacere che abbiano pagato così in fretta. Magari avrebbe preferito farcela negli Stati Uniti, casa sua a tutti gli effetti, ma anche in Australia ha un pezzo di famiglia, visto che la madre si è trasferita lì da più di un anno. Lo statunitense ha avuto una buonissima carriera juniores, arrivando al numero 2 della classifica under 18, e ora è pronto per l’assalto alla top-100 ATP. Coi punti raccolti a Brisbane salirà (almeno) a un passo dai primi 150. “Uno degli obiettivi per questa stagione – ha continuato – è l’ingresso fra i primi 100, così come la qualificazione per le Next Gen ATP Finals di Milano. È un evento fantastico, e raggiungerle vorrebbe dire aver conquistato una classifica a due cifre”.
UN PO’ FEDERER, UN PO’ RODDICK
Nel 2017 Mmoh ha giocato principalmente a livello Challenger, vincendo il suo secondo titolo in carriera a Lexington, ma si sente già pronto per il Tour, e le quattro partite vinte a Brisbane profumano di conferma, in attesa del quarto di finale con l’altro “Next Gen” Alex De Minaur, capace addirittura di far fuori Milos Raonic. “I Challenger – ha proseguito Mmoh – rappresentano un'ottima preparazione per il Tour: si tratta di tornei diversi perché ci sono meno spettatori e c’è meno pressione, ma il livello è ugualmente buono. Lo conferma il fatto che se un giocatore che compete regolarmente nel circuito maggiore va a disputare un Challenger, non è scontato che riesca a vincerlo”. Cresciuto ispirandosi ad Andy Roddick, Mmoh lo ricalca nelle caratteristiche tecniche: ottimo servizio, buon diritto e rovescio così così, ma il vero obiettivo è ricordarlo presto anche nei risultati. “Ho sempre adorato la sua personalità, così come il suo tennis. È stato uno dei miei idoli nel periodo di crescita, e i suoi successi mi hanno motivato. Purtroppo non l’ho mai incontrato e non ci ho mai nemmeno parlato: mi auguro possa succedere presto”. Secondo la sua scheda sul sito ATP l'americano ha la stessa identica struttura di Roger Federer, 1 metro e 85 di altezza per 85 chilogrammi, anche se il suo tennis è completamento diverso, e punta tantissimo sulla fisicità. È rapido ma anche potente, agile ed esplosivo. Ecco perché capita che lo paragonino a Gael Monfils: uno che ad atletismo guarda tutti dall’alto verso il basso, e un altro che ha raggiunto risultati da metterci la firma.
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