Marco Caldara
31 March 2018

In finale, Sloane non perde mai

Il Miami Open 2018 è di Sloane Stephens: la 25enne statunitense gioca il tennis perfetto per mandare fuori giri Jelena Ostapenko, riducendo la velocità di palla e provando a commettere meno errori possibile. Una strategia che le consegna il sesto titolo in altrettante finali e un posto fra le prime 10 del ranking WTA. Ma soprattutto dice che la vittoria all'ultimo Us Open non è stata un caso.
Sloane Stephens non era sparita, era semplicemente andata in letargo. Si è messa in disparte a fine estate, dopo l’incredibile titolo allo Us Open, ed è tornata all’inizio della primavera, come se nulla fosse, riprendendo esattamente la stessa strada lasciata qualche mese fa. Aveva vinto e sorpreso a Flushing Meadows e si è ripetuta a Crandon Park, casa per l’ultima volta del Miami Open, dimostrando che i segnali di ripresa mostrati fra Acapulco e Indian Wells non erano casuali, e soprattutto che non è stata una casualità quel titolo Slam che brilla nel salotto di casa. Per una decina di giorni ha vestito di nuovo la forma Us Open, ha fatto fuori tre top ten e si è presa il titolo sul cemento di Key Biscayne, superando per 7-6 6-1 la regina del Roland Garros Jelena Ostapenko, troppo schiava della sua voglia di attaccare ogni singola palla. In quel modo è finalmente tornata a farsi vedere e in quel modo ha provato a vincere la finale, ma non sempre gli azzardi vanno a buon fine, e quando gli errori gratuiti (48) doppiano i colpi vincenti (25) portare a casa la partita è pressoché impossibile. Tuttavia, i numeri dicono tanto ma non tutto, perché non parlano dei meriti della Stephens, bravissima a impostare la finale nel modo corretto. Giocare contro un’avversaria in grado di lasciarti ferma un punto sì e l’altro pure non è mica facile, ma la 25enne nativa di Fort Lauderdale l’ha fatto in maniera esemplare. La ricetta per vincere la sapeva: difendere nel miglior modo possibile e sbagliare poco, e quello ha fatto. E pazienza se non sono due delle principali qualità del suo tennis: si è dimenticata il piacere e ha pensato solo al dovere, dimostrando più maturità (e anche più cervello) dell’avversaria. Dopotutto, nel tennis conta solo vincere, e il modo importa ben poco. A volte è necessario fare il punto, altre bisogna semplicemente non regalarlo, e si può avere la meglio su una top-5 anche con la miseria di sei colpi vincenti un’ora e mezza abbondante.
STAVOLTA IL TIE-BREAK NON AIUTA JELENA
La Stephens aveva vinto tutte le sue prime cinque finali, e ha dato continuità al suo record, per mantenere negli States un titolo che in passato era stato ben otto volte di Serena Williams e tre di Venus, oltre che di Martina Navratilova e Chris Evert. I momenti chiave del match sono stati due, a partire dal tie-break, necessario per spezzare l’equilibrio di un set ricco di break. La Stephens è stata avanti ben quattro volte, e ha anche servito sul 5-4, ma era talmente concentrata a difendersi (benissimo) e non sbagliare che spesso si è dimenticata di attaccare, lasciando troppo spazio alla Ostapenko. La lettone si è presa il tie-break e sperava di poterlo sfruttare a suo favore, come successo nei cinque (su cinque) vinti nel corso del torneo, invece è subito finita sotto per 6-2 e non le è bastato nemmeno cancellare tre set-point. Sul quarto la Stephens ha giocato una risposta molto saggia, trovando un bell’angolo col rovescio incrociato, mentre lei non ha avuto la stessa pazienza, sparando il rovescio sul gancio della rete e consegnando il set. Il secondo momento decisivo, invece, è arrivato nel quarto game del secondo set, il secondo più lungo dell’intero incontro. Dopo aver già perso un break di vantaggio, la campionessa dell’ultimo Roland Garros ha mancato un paio di chance per il 2-2, ha perso di nuovo la battuta e il suo match è finito lì, malgrado il tentativo di coach David Taylor di catechizzarla sull’1-4. Tablet alla mano, l’allenatore le ha suggerito di servire di più sul diritto dell’avversaria e di non essere sempre aggressiva a tutti i costi alla prima palla utile, ma ormai non c’era più nulla da fare.
PRIMA VOLTA NELLA TOP TEN
La Stephens ha vinto con merito, dimostrando la capacità di adattarsi al tennis dell’avversaria e scovarne i punti deboli, e può godersi un titolo per lei doppiamente importante, non solo perché si tratta del suo primo Mandatory, ma anche perché è nata e cresciuta proprio in Florida. “Non è il risultato che volevo – ha detto la Ostapenko durante la cerimonia di premiazione – ma la mia resta comunque una grande settimana. Ho trovato un’ottima atmosfera e ho ricevuto tanto supporto, anche se affrontavo una giocatrice americana. L’ho apprezzato e mi sono veramente divertita”. La lettone l’ha presa con filosofia, come se avesse già capito che contro una Stephens capace di farle giocare sempre una palla in più vincere sarebbe stato molto complicato. Salirà comunque al numero 5 del mondo, mentre grazie alla vittoria la Stephens si è assicurata per la prima volta l’ingresso fra le top-10, al numero 9. Era talmente felice che quando le hanno dato il microfono non si fermava più. Ha ringraziato il suo team, ricordando i momenti difficili post-Us Open, quando ha perso otto partite consecutive fra Asia, WTA Elite Trophy, finale di Fed Cup e trasferta australiana, e ha dedicato un ringraziamento particolare a James Blake, per la prima volta direttore del Miami Open. Il tutto con una capacità di reggere il palcoscenico tutt’altro che comune, in grado di renderla un bell’acquisto per il tennis di altissimo livello. Ha gettato al vento sei mesi in cui non aveva un singolo punto da difendere, ma finalmente si è ripresa e l’attesa Top-10 è arrivata. L’importante è che ora non vada di nuovo in letargo fino al ritorno del cemento americano.

WTA PREMIER MANDATORY MIAMI – Finale
Sloane Stephens (USA) b. Jelena Ostapenko (LAT) 7-6 6-1
© RIPRODUZIONE RISERVATA