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Bastava il primo punto ATP per capire tutto

Nell’incredibile cavalcata che l’ha portato in semifinale al Roland Garros, di Marco Cecchinato hanno sorpreso la personalità e la determinazione. Qualità che, scavando nei ricordi, si vedevano già anni addietro, quando i nomi sul taccuino dei tecnici erano altri. Non è arrivato nessuno, mentre lui sì, prendendo (quasi) tutte le decisioni giuste.
Nella vita e nella carriera di Marco Cecchinato la parola chiave è sempre stata una sola: determinazione. Da quando a 17 anni lasciò il mare di Palermo per trasferirsi a Caldaro, perché lì c’era la premiata ditta Sartori-Seppi, nella sua testa l’esempio giusto da seguire per diventare un giocatore di tennis. O da quando ai tempi dei Futures sorprese i coetanei dicendo senza mezze misure che se nel giro di un paio d’anni non sarebbe stato fra i primi 300 del mondo avrebbe mollato tutto e cambiato strada, perché di vivacchiare nel limbo degli eterni incompiuti, lui, non ne voleva proprio sapere. Voleva arrivare, punto e stop, ed è (anche) così che ha riscritto un pezzettino di storia del nostro tennis, riuscendo in un solo torneo a costruirsi – e sfruttare –l’occasione giusta per trasformare una carriera normale in un capolavoro, dopo essere passato dagli stessi problemi di tutti. Torna in mente quando nel 2010 al Futures di Bergamo, dove si presentò coi capelli biondi ossigenati, chiese a un collega di ospitarlo a dormire a casa sua perché a maggio aveva già speso buona parte del budget per la sua stagione, e risparmiare qualche soldo voleva dire poter giocare magari un torneo in più, magari quello buono per prendere quel benedetto primo punto ATP che al tempo stava ancora rincorrendo. L’avrebbe conquistato un mesetto dopo, al Futures di Desenzano, provincia di Brescia. Un passaggio che oggi sembra banale, ma ha un ruolo importante perché è stato il primo, e perché col senno di poi lasciava già intendere molto sul suo futuro. Arrivò sul Garda senza aspettative, dopo aver saggiato la sacra erba di Wimbledon nel torneo under 18, e al primo turno era sotto per 6-0 5-1 contro Antonio Comporto, di Palermo come lui. Salvando uno dopo l’altro la bellezza di sei match-point riuscì a rimettere in piedi la partita e la vinse di carattere, per 0-6 7-5 6-2, guadagnandosi l’ingresso nel ranking ATP. A livello di personalità e mentalità vincente si capiva già parecchio: magari il suo tennis non era brillante come altri, ma dentro aveva qualcosa in più.
LA ROVINA DIVENTATA OPPORTUNITÀ
Certe cose Massimo Sartori le aveva notate in anticipo. In tempi non sospetti disse che il giovane aveva una qualità di quelle che non si comprano: sapeva vincere le partite, un po’ come anni prima Brad Gilbert annotò di un giovane Mats Wilander. Eppure, al tempo, i nomi evidenziati sul taccuino dei tecnici federali erano altri, da Gaio a Miccini, da Colella a Civarolo, a conferma che non sempre (o quasi mai, almeno in Italia) i più forti da juniores riescono a confermarsi nel tennis vero. Dei quattro là sopra solo il solo Gaio è riuscito a diventare un tennista professionista, ma il suo best ranking dice 146. Cecchinato, invece, lunedì sarà numero 27, con 560.000 euro (lordi) pronti a finire nel suo conto corrente e tanti altri che entreranno grazie all’effetto di un boom di popolarità senza precedenti. A livello caratteriale non sarà mai il più apprezzato dai colleghi, ma è finito su tutti i notiziari, in un tweet di Buffon, nel Caffè di Gramellini, nei bar e nelle bocche delle gente che il tennis lo conosce a malapena, tanto da vedere aumentare di uno zero i suoi follower su Instagram, da diecimila e rotti a oltre centomila. Tutti o quasi ignari della brutta vicenda scommesse di un paio d’anni fa (della quale non ha mai voluto parlare, nemmeno a Parigi), che è stato abilissimo a trasformare in un’occasione per guardarsi dentro e ripartire. Specialmente agli occhi degli appassionati più assidui la sua immagine resta macchiata, anche perché l’intera questione è finita in prescrizione per un vizio procedurale, quindi una vera assoluzione non c’è mai stata, ma è in quel periodo di crisi che su consiglio di Massimo Sartori ha scelto di bussare alla porta di Simone Vagnozzi, senza badare al fatto che l’esperienza da coach dell’ascolano fosse quasi pari a zero. E così, sportivamente parlando, quella che poteva essere una rovina si è trasformata in una fortuna.
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