Durante i quarti del Miami Open, una nervosa Simona Halep ha chiamato in campo il suo coach, Darren Cahill. Lui ha provato a incoraggiarla, a darle suggerimenti, infonderle ottimismo. In tutta risposta, ha ricevuto un atteggiamento negativo, supponente. Non lo stava a sentire e per poco non lo ha mandato a quel paese. Dopo si è scusata, ma la partnership è terminata in quel momento. O meglio, sembrava terminata. Un mese dopo hanno ripreso a lavorare insieme: oggi Simona è a Singapore per le WTA Finals, da numero 1 del mondo. Ok, non ha vinto Slam. Ok, oggi il tennis femminile ha meno certezze dei bond argentini. Però ha fatto più punti di tutte ed è tra le favorite a Singapore. Esordirà lunedì, alle 13.30 italiane, nel primo match del Gruppo Rosso. “Sono sorpreso che sia al numero 1 soprattutto dopo il difficile inizio di stagione – ha detto Cahill in una bella intervista con Cristopher Clarey del NY Times – ha avuto una tendinite patellare a dicembre e si è presentata in Australia con il ginocchio in disordine. Sembrava tutto risolto, ma non lo era. La sua stagione è iniziata a Miami: prima del torneo siamo giunti alla conclusione che avrebbe dovuto migliorare come giocatrice e come atleta, senza pensare alla classifica. Poi però c'è stato quel piccolo incidente, che ha causato un altro reset”. Poteva essere un punto di rottura, invece Simona ha avuto l'umiltà di tornare sui suoi passi: ha richiamato Cahill, ha vinto Madrid e sfiorato i successi a Roma e Parigi. La sconfitta al Roland Garros è stata particolarmente dolorosa. “Ha pianto per notti intere, però ha avuto il merito di continuare a fare quello che stava facendo. Significa che ha una grande forza interiore. Simona è molto più forte di quello che pensa”. Con questa convinzione, Cahill approda a un Masters apertissimo, in cui 7 delle 8 partecipanti hanno la possibilità di centrare la leadership WTA. A tempo perso, lavora per ESPN ed è un apprezzato commentatore. Tuttavia, dopo aver chiuso la carriera da giocatore (è stato n.22 ATP e vanta una semifinale allo Us Open), si è dedicato con profitto all'attività di coach. Ha portato al numero 1 tre giocatori: prima della Halep, ce l'aveva fatta con Lleyton Hewitt e Andre Agassi. “Ma non si possono paragonare tra loro: ho preso Lleyton quando aveva 12 anni. Andre era già una leggenda, mentre Simona viene da una cultura molto diversa e deve sopportare una grande pressione. Devo dire che lo fa benissimo”.