Le difficoltà della Next Generation

Il tennis è disperatamente a caccia degli eredi di Federer, Nadal e Djokovic. La campagna “Next Generation” ha mischiato 14 nomi di vario genere, ma soltanto 2-3 sembrano avere stimmate importanti. Certo, “New Balls Please del 2001” era un'altra cosa...  

C'è un pizzico di preoccupazione per il futuro del circuito ATP. Intendiamoci: il tennis andrà avanti e sopravviverà benissimo. La storia ci insegna che il ritiro di qualsiasi campione, anche il più insostituibile, è stato rimpiazzato a dovere. Ma non era mai capitato che la stessa generazione (o quasi) proponesse tre dei più grandi di sempre. Lasciando perdere Andy Murray, il trio composto da Roger Federer, Rafael Nadael e Novak Djokovic ha intascato la bellezza di 42 Slam. E il bottino può crescere ancora. L'ATP è preoccupata, sa che difficilmente si ripeterà un'epoca del genere. E allora, per abituare il pubblico a quello che sarà, ha lanciato una campagna promozionale che rispecchia in tutto e per tutto la “New Balls, Please” del 2001. La situazione era grossomodo la stessa: stavano per ritirarsi Pete Sampras e Andre Agassi, interpreti di un'esaltante rivalità. E così, agli albori di internet, i cartelli promozionali mostravano una serie di giocatori sui 20 anni o giù di lì. Il disegno che vedete qui sotto propone Tommy Haas, Roger Federer, Andy Roddick, Lleyton Hewitt, Marat Safin, Sebastien Grosjean, Juan Carlos Ferrero e Gustavo Kuerten. Lasciando perdere Guga, che all'epoca aveva già 25 anni, abbiamo cinque vincitori Slam e i più “scarsi” (Haas e Grosjean) sono entrambi stati top-5 ATP nonché semifinalisti in un Major. Insomma, un generazione decisamente competitiva e con personalità interessanti. Più in generale, pur essendo 20enni o giù di lì (i più “anziani” erano proprio Haas e Grosjean) erano già professionisti forti e affermati.

 
CERTEZZE KYRGIOS E ZVEREV

Oggi non è così. Dopo aver pregato che l'attuale generazione vada avanti il più possibile, l'ATP ha lanciato la campagna “Next Generation”, risposta indiretta alla critica giornalistica secondo cui c'è stato un buco generazionale tra le classi 1987-1988 e quelle 1994-1996. Qualcuno ha definito “Lost Generation” quella rappresentata da Raonic, Dimitrov, Nishikori, Tomic e (forse) Thiem. Lo scorso torneo di Indian Wells ha lanciato una campagna del tutto simile a quella del 2001, ma c'è un pizzico di perplessità. Senza un vero criterio di selezione, l'ATP ha selezionato quattordici giocatori nati tra il 1994 (Edmund) e il 1998 (Tiafoe). Si tratta, semplicemente, dei meglio piazzati nella loro categoria d'età. Detto che tra un 22enne e un 18enne c'è ovvia differenza, la #nextgen (l'hashtag utilizzato su Twitter) sembra un gradino sotto rispetto alle “new balls” di allora. Sembra quasi che l'ATP abbia voluto responsabilizzare i migliori giovani per abituare gli appassionati alle loro facce, al loro stile, al loro gioco. La campagna è imponente e viene menzionata ogni giorno sui canali web dell'ATP. Se è vero che l'età media dei ragazzi di oggi è 1-2 anni inferiore rispetto a quella di allora (è dunque giusto concedere un po' di tempo), alcuni di loro – per ora! - non sembrano all'altezza. Lo dicono i risultati: ad oggi, gli unici due che sembrano avere le qualità per diventare icone, oltre che campioni, sono Nick Kyrgios e Alexander Zverev. Il primo ha un potenziale devastante, ma deve stare attento a non autodistruggersi (e la tendenza c'è...). Il secondo sembra una garanzia, il numero 1 del futuro. La scorsa notte ha perso in due tie-break dal bombardiere Steve Johnson, ma non è una partita a fare la differenza. In un'ipotetica classifica dei futuribili, al terzo posto si trova Taylor Fritz. Il californiano è esploso all'improvviso un mese fa, ma i numeri ci sono. A Miami ha tenuto testa per un set a David Ferrer e nel complesso è stato bravo. Si tratta pur sempre del più giovane tra i top-100 ATP.

EXPLOIT NISHIOKA, MA E' L'UNICO

Il resto del gruppo non convince. O meglio, deve ancora convincere. Dei 14 giocatori in questione, soltanto dieci erano nel main draw del Miami Open (e un paio con l'ausilio di wild card). Il dato numerico è significativo perché Miami, con un tabellone a 96, ha un cut-off più abbordabile rispetto agli altri Masters 1000. Eppure mancavano Halys, Khachanov, Kokkinakis (fermo ai box per infortunio, altrimenti ci sarebbe stato) e Tiafoe. Per esserci, Ymer e Rublev hanno avuto bisogno di una wild card. Dei dieci in tabellone, soltanto due sono ancora in gara. Nick Kyrgios ha avuto un bye e deve ancora esordire, mentre l'unica sorpresa è arrivata da Yoshihito Nishioka. Il possibile erede di Kei Nishikori in un mercato importante (e danaroso) come quello giapponese ha firmato un buon exploit, battendo Feliciano Lopez. Al terzo turno se la vedrà con Dominic Thiem in un bel test contro uno dei più in forma del momento. Gli altri sono tutti fuori, sia pure con doverosi distinguo.

KYLE EDMUND:

E' stato bravo a vincere un match complicato contro Jiri Vesely, poi ha tenuto dignitosamente il campo contro Novak Djokovic. Non è un fenomeno e nemmeno l'erede di Murray, ma il sospetto è che l'abbiano inserito nella campagna proprio per il passaporto britannico...

ALEXANDER ZVEREV:

Dopo i fasti di Indian Wells, si è un po' ridimensionato. Ha faticato per battere Michael Mmoh (giovanissimo americano), ma si è fatto sorprendere da Steve Johnson. L'anno prossimo non perderà più una partita del genere.

ANDREY RUBLEV:

Delusione. Omaggiato di una wild card, ha perso nettamente contro Inigo Cervantes. Deve correggere in fretta l'atteggiamento negativo, altrimenti il processo di maturazione rischia di essere piuttosto lungo.

TAYLOR FRITZ:

Merita la sufficienza. Battere Bolelli è un buon risultato, poi il modo in cui ha tenuto testa a Ferrer ha ricordato il buon atteggiamento nella finale di Memphis contro Nishikori. Da tenere d'occhio.
 

HYEON CHUNG:

Ha vissuto un 2015 al di sopra delle aspettative, ma quest'anno sta deludendo. A Indian Wells e Miami ha perso subito, ma raccogliere appena quattro giochi contro Kudla è preoccupante. Ok, ha fatto il servizio militare. Ok, ha perso tempo per imparare i rudimenti dell'inglese. Ma la crescita sembra essersi un po' fermata.
JARED DONALDSON: Aveva perso nelle qualificazioni, è entrato come lucky loser e ha perso subito da Nishioka. E' ancora acerbo, ma ci domandiamo: non fosse stato americano, lo avrebbero inserito nella campagna?

ELIAS YMER

: Lo aspettiamo da un anno, ha avuto tante chance e qualcuna l'ha anche afferrata, eppure fatica ad entrare tra i top-100. Sembra avere la tendenza a stufarsi in fretta dei coach (non è positivo: il caso Quinzi insegna). Ha perso in tre set da Delbonis, non certo uno specialista del duro. Non è da bocciare, ma forse non è forte come sembrava un paio d'anni fa.

BORNA CORIC:

Sul piano caratteriale convince, su quello tecnico meno (il dritto fatica a viaggiare). E' forte e tra i top-10 ci arriverà, ma la sconfitta contro Denis Istomin è emblematica: non sembra avere chissà quali armi tecniche per battere chi gioca meglio di lui.  

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