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Riccardo Bisti
10 September 2018

Lazzaro Djokovic si è rialzato: New York è sua

Una prestazione formidabile consegna il 14esimo Slam a Novak Djokovic. In versione “muro di gomma”, ha depotenziato le armi di Juan Martin Del Potro e si è imposto in tre set. Grandi emozioni in uno splendido secondo set, ma non c'è mai stata incertezza sul risultato finale. È ufficialmente iniziata la caccia a Federer e Nadal?

“La durezza del percorso” è un principio importante. Ogni campione, dopo un grande successo, ha l'istinto di guardarsi dietro e ricordare i momenti difficili che hanno segnato il suo viaggio. Lo ha fatto anche Novak Djokovic quando l'ultimo smash gli ha consegnato lo Us Open 2018. Nole conosce bene il valore del percorso, le difficoltà, persino gli stenti di un baby tennista, costretto a mischiare i sogni con una realtà in cui gli aerei NATO che sganciavano bombe su Belgrado. Come è giusto, tuttavia, certi ricordi sono sfumati. Da allora sono passati 20 anni e una valanga di successi avevano reso bellissima, da favola, la vita e la carriera del serbo. Doveva riscoprire le difficoltà, le sofferenze, la confusione interiore per riavvitare certi punti fermi, tornare a vincere e – soprattutto – apprezzare il valore della vittoria. Può sembrare un paradosso, ma l'anno e mezzo d'inferno, con scelte spesso sbagliate e talvolta insensate, ha restituito a Nole una percezione corretta delle cose. Perdere brutte partite, non trovare una soluzione, circondarsi di persone (col senno di poi) sbagliate, persino sottoporsi a un'operazione: ce n'era abbastanza per “ripartire da zero”, come ha cantato J-Ax nella sua struggente “Intro”. Novak lo ha fatto, convinto che sarebbe rinato. Non solo ce l'ha fatta, ma addirittura a tempo di record. La vittoria a Wimbledon non era frutto di circostanze fortunate, ma le successive vittorie a Cincinnati (foriera del Career Golden Masters) e allo Us Open riconsegnano il giocatore che aveva preso in mano il tennis e che, secondo Mats Wilander, quando si esprime al massimo è più forte di Roger Federer e Rafael Nadal. Difficile confutare la tesi, poiché è in vantaggio negli scontri diretti sia contro lo svizzero che contro lo spagnolo. Battendo Juan Martin Del Potro in una finale raramente in discussione, ha eguagliato Pete Sampras ed è diventato il terzo più titolato di sempre nella storia degli Slam: Federer 20, Nadal 17, Djokovic 14.

FANTASTICO IN DIFESA
Quando vinse nel 2002, Pistol Pete aveva compiuto 31 anni da un mesetto. Si prese qualche mese di tempo, poi l'anno dopo si presentò in abito elegante e figlio in braccio, salutando tutti. La differenza con Djokovic è tutta qui: c'è ancora tanto tennis nel futuro del serbo. E la prospettiva di avvicinare chi gli sta davanti non è così remota. Ha 6 anni meno di Federer e, rispetto a Nadal, una maggiore polivalenza. Per intenderci: Nole parte favorito in tre Slam su quattro rispetto allo spagnolo, senza dimenticare che è stato uno dei due a batterlo a Parigi. L'ultimo atto dello Us Open 2018 ci ha mostrato un Djokovic in tutto il suo splendore. Forte di una condizione fisica strepitosa, è stato fantastico in difesa. Per due settimane, Juan Martin Del Potro ha schiaffeggiato la palla con il servizio e con il dritto. Difficilmente gli tornava indietro. Invece Nole ha trovato una risposta per tutto, costringendolo a giocare 1, 2, 3 colpi in più. Prima o poi, inevitabilmente, finiva con lo sbagliare. Ci sono stati un paio di momenti in cui la partita avrebbe potuto prendere un'altra direzione, ma Del Potro non è riuscito a trasformare la finale in una rissa agonistica. Quando il tennis diventa pugilato, difficilmente la Torre di Tandil finisce al tappeto. Djokovic lo sapeva e ha profuso il massimo sforzo nel momento del bisogno. È stato cruciale il secondo set: vinto il primo con un break all'ottavo game, Nole saliva 6-3 3-1 ma perdeva tre giochi di fila. Sotto 3-4, ha addentato il game più lungo della partita, 20 minuti e 22 punti di pura tensione agonistica, con tre palle break annullate. Fosse andata diversamente, con ogni probabilità Del Potro avrebbe intascato il secondo set e avremmo scoperto sentieri inattesi. Sul 4-4, invece, Djokovic ha continuato a fare la voce grossa e ha giocato un tie-break impeccabile, rimontando da 1-3 e sfruttando qualche errore di troppo di Del Potro, soprattutto con il dritto.

LA MIGLIORE RISPOSTA DI SEMPRE
In svantaggio di due set, era pressoché impossibile che Delpo potesse rimetterla in piedi. In verità, ha ripreso un break di svantaggio anche nel terzo (da 3-1 a 3-3) e ha avuto qualche minuscola chance nel settimo game, ma di fronte aveva un muro di gomma. Nole ha alzato l'intensità e l'ultimo break, all'ottavo game, gli aperto la strada verso la premiazione. Commentando la partita per ESPN, John e Patrick McEnroe erano concordi nel dire che Djokovic possiede la migliore risposta al servizio di sempre. In effetti è dotato di riflessi incredibili, grazie ai quali risponde negli ultimi centimetri di campo anche a palle che viaggiano a 220 km/h. È una delle tante qualità nascoste di un giocatore che non ha il colpo fulminante, da lasciare fermo l'avversario e a bocca aperta il pubblico. Però fa tante cose fantastiche che “preparano” la conquista del punto. Ci vuole un occhio attento per apprezzarle, ma i risultati parlano per lui. In tutto il torneo ha perso solo un set (contro Tennys Sandgren al secondo turno), mentre nei restanti 18 gli è capitato soltanto una volta di perdere più di quattro game. C'è riuscito Del Potro in finale, ma non è bastato a scalfire un dominio che potrebbe trovare riscontro anche nei numeri. La nuova classifica ATP lo vedrà in terza posizione, ma conta ancora di più la “Race”, in cui è già secondo a un migliaio di punti da Rafael Nadal. E sì, la possibilità di un aggancio non è così remota. I tanti argentini in tribuna erano pronti a scatenarsi e a destabilizzare Nole, un po' come gli era accaduto a Wimbledon con il pubblico britannico, durante il match contro Kyle Edmund. Anche stavolta si è un po' alterato, ma non ha mai perso la concentrazione. Non poteva permetterselo. E alla fine ha intascato l'ennesimo successo, che però – nonostante i 31 anni di età – sembra un perfetto trampolino di lancio per una carriera ancora ambiziosa, anche considerando le difficoltà e i limiti della nuova generazione. Ci sono tanti ottimi giocatori, personaggi in fasce e potenzialità ancora inespresse, ma per mettere in difficoltà Novak Djokovic ci vuole ben altro.

US OPEN UOMINI – Finale
Novak Djokovic (SRB) b. Juan Martin Del Potro (ARG) 6-3 7-6 6-3

GRANDE SLAM – I PLURIVINCITORI
Roger Federer – 20
Rafael Nadal – 17
Novak Djokovic - 14
Pete Sampras – 14
Roy Emerson – 12
Bjorn Borg – 11
Rod Laver – 11
Bill Tilden – 10
Fred Perry – 8
Ken Rosewall – 8
Jimmy Connors – 8
Ivan Lendl – 8
Andre Agassi - 8
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