Nel 2017 il circuito ATP ha riavvolto il nastro di qualche anno, riportando Rafael Nadal e Roger Federer alle prime due posizioni della classifica mondiale. Una rinascita sorprendente da parte di entrambi, che si sono divisi i quattro Slam e buona parte dei Masters 1000.
Le ragioni del loro ritorno ad altissimi livelli sono state studiate, dette e ripetute un sacco di volte, ma ci sono alcuni aspetti statistici che hanno almeno altrettanto valore. Per esempio, i numeri dicono che Federer è tornato grande
riuscendo anche a superare il suo storico limite nella gestione dei momenti delicati, come la conversione delle palle-break o le vittorie al set decisivo, che gli hanno permesso di chiudere l’anno come miglior giocatore nelle situazioni catalogate come “under pressure” nelle statistiche dell’associazione giocatori. Un dato spesso sottovalutato, così come
in pochi, senza l’ausilio dei numeri, si sarebbero accorti che una delle chiavi del ritorno al vertice di Nadal è stato il rendimento al servizio, raramente considerato come uno dei suoi punti di forza. Invece, un’analisi pubblicata sul sito ATP e firmata da Craig O’Shannessy, il più grande esperto al mondo di match-analisys,
appena entrato nel team di Novak Djokovic come consulente, evidenzia come nella stagione appena conclusa
“Rafa” sia stato il settimo dell’intero circuito ATP nei punti vinti con la prima di servizio, dietro solamente ai battitori (Isner, Karlovic, Raonic, Anderson, Muller) e a Roger Federer. Il numero uno ATP ha chiuso la stagione col 73,9% di rendimento complessivo, il suo terzo miglior risultato in carriera dopo 2010 e 2012. E solo nel 2010 (310) il maiorchino aveva servito più ace dei 286 di quest’anno. Per uno che la sua forza la fonda soprattutto altrove, sono numeri di spessore.