L'AVVENTURA A DUBAI
Figlia di un sudafricano che si è spostato in Israele nel 1961, Shahar ha sempre servito con fedeltà il suo paese. Oltre 70 partite in Fed Cup, ma anche il servizio militare quando aveva 19 anni (nel suo paese è obbligatorio per tutti, donne comprese). Quando non era all'estero per i tornei, si occupava ogni mattina della segreteria amministrativa delle forze di difesa israeliane, salvo poi allenarsi al pomeriggio. Pur raggiungendo due quarti di finale negli Slam (Australian Open e Us Open, sempre nel 2007) ha soltanto sfiorato le top-10, salendo al numero 11 WTA nel gennaio 2011. Di lei, tuttavia, si ricorderà soprattutto il grande coraggio nel giocare a Dubai nel 2009 e nel 2010, prima israeliana a giocare nel territorio arabo. Aveva già giocato a Doha, ma nel 2008 gli Emirati le negarono il visto d'ingresso poiché hanno alcun rapporto diplomatico con Israele. Si aprì un caso internazionale, risolto con la concessione del visto negli anni successivi. Nel 2010 ha raggiunto la semifinale in condizioni difficili: non poteva vedere le altre giocatrici fuori dal campo, aveva uno spogliatoio e una palestra tutta per sé e i suoi match furono collocati sui campi secondari. In carriera ha vinto cinque titoli WTA di secondo piano (l'ultimo a Tashkent nel 2009) e non ha raggiunto grandi finali, pur vantando semifinali a Miami, Madrid e Pechino. Giocatrice di pressione, da tennis un po' costruito, non aveva la classe da numero 1, ma senza le forti ingerenze extra-tennistiche dovute al suo passaporto, probabilmente avrebbe ottenuto qualcosa di più. Col suo ritiro, il tennis israeliano resta senza personaggi di spicco. In questo momento, la numero 1 del paese è la 27enne Julia Glushko, numero 215 WTA. E per adesso non si vedono potenziali eredi di Shahar, il cui futuro – a giudicare dagli aggiornamenti della pagina Facebook – sembra dedicato a una nuova grande passione: la corsa.