L'IMPORTANZA DI UN TEAM
Quando mise piede a New York per la scorsa edizione, voleva ascoltare le sue sensazioni. Se respirare l'ambiente del grande tennis non le avesse fatto venire voglia di giocare, allora avrebbe dovuto smettere. Di fatto, quella a New York era stata una vacanza. Però le è servita per capire che non era ancora il caso di lasciar perdere. Allora ha rimesso piede nel circuito ITF e ha chiuso l'anno al numero 288. Ancora più importante, con rinnovate motivazioni. Era talmente carica da convincere la quasi coetanea Keren Shlomo a farle da allenatrice. Ex numero 359 WTA, la Shlomo ha suggerito di aggiungere al team una figura ancora più esperta come quella di Amir Hadad, ex ottimo giocatore israeliano. Proposta accettata, così come non è stato difficile convincere la Glushko a investire su un preparatore atletico (Oren Bar Nur). Le spese sono aumentate, ma sono arrivati anche i risultati. In campo ha ripreso a correre alla grande e a spingere con il suo colpo migliore, il rovescio. Ma, soprattutto, ha pensieri positivi. “A differenza di quelli che avevo avuto in passato: ero sempre negativa, qualsiasi cosa ottenessi, non ero mai soddisfatta. Per esempio, quando ero entrata per la prima volta tra le top-100 non ero così felice”. Nelle qualificazioni, i giocatori e le giocatrici possono parlare con i loro allenatori. E allora, durante i tre turni preliminari, anziché sedersi sotto l'ombrello ai cambi di campo, andava dalla Shlomo a chiacchierare, o meglio, a farsi calmare. Nel primo turno, contro la messicana Renata Zarazua, si è rivolta verso il suo clan e ha detto che non era in grado di respirare. In effetti, il clima di New York, in questi giorni, è quasi proibitivo. Ma c'era qualcosa di più, era una questione mentale. Perso un pazzo primo set (0-4, 4-4 e palla break a favore, 4-6), si è scatenata e ha rimesso in piedi il match con un parziale di 17 punti a 2. L'incitamento della Shlomo, peraltro in lingua ebraica, è servito a tenerla concentrata.