L’assenza di aspettative nei vostri confronti, almeno nei primi tempi, è stata determinante?
Assolutamente. Il peso delle aspettative può essere uno dei freni più grandi per un ragazzo e bisogna essere bravi a gestirlo e consigliarlo nel momento in cui inizia a sentirsi gli occhi puntati addosso. Aver percorso buona parte della nostra strada a fari spenti ha aiutato Matteo e lui è stato bravo a sposare un’idea di lavoro che prevedeva la voglia di investire su se stessi in un progetto a lungo termine, che non si basasse sui risultati immediati ma sulla voglia di migliorarsi. Se ha una mentalità simile, l’atleta è più propenso ad accettare le sconfitte e farne tesoro. Per assurdo, quando la scorsa estate Matteo ha vinto tantissime partite, da un certo punto di vista è stato un periodo difficile, perché non eravamo abituati a certi risultati. Le aspettative sono cambiate e proseguire sulla strada giusta non è stato facile, ma è stato bravo a gestire quella situazione. Qualsiasi periodo può diventare una fonte di crescita: l’importante è essere sempre pronti ad affrontare e risolvere i problemi che si presentano.
Matteo ti ha sempre attribuito grandi meriti dal punto di vista umano: quanto è importante?
Tantissimo. Un coach passa molto tempo col proprio giocatore, ci pranza e cena insieme, magari ci divide anche la stanza. Se caratterialmente le due persone sono poco compatibili, il rapporto diventa difficile da gestire. Ricordiamoci che per prima cosa siamo uomini, poi professionisti. Se i due uomini non si trovano bene insieme, è difficile che i due professionisti riescano a rendere al massimo. Io ho sempre cercato di far crescere la persona oltre che il giocatore e l’arrivo del mental coach Stefano Massari ci ha dato una bella mano. Nell’ultimo anno stiamo cercando di dare a Matteo sempre più libertà di espressione e responsabilità maggiori, chiedendogli di essere più autonomo. L’idea è di costruire un atleta che possa essere in grado di funzionare da solo.
Un rapporto molto stretto è sempre un bene?
Il ruolo dell’allenatore è molto delicato. In alcune situazioni il coach deve capire che il giocatore ha bisogno di stare da solo e altri in cui bisogna restargli molto vicino. Avendo anche dei figli, mi rendo conto che quello che mi lega a Matteo è un rapporto quasi paterno: lui lo sa e credo gli faccia piacere sapere che chi ha accanto fa tutto per il suo bene. Se c’è qualcosa che non mi piace, non ho alcun problema a dirglielo, perché lo faccio solo per lui. Una situazione che mi dà ulteriori stimoli.
Quanti meriti ti prendi nei risultati raggiunti sin qui?
Ne ho parlato con Massimo Sartori durante il week-end di Coppa Davis a Genova. Mi diceva che vede un ragazzo con le idee chiare, che lavora per il suo futuro e che ha apprezzato il modo di essere e di pensare di Matteo, in campo e fuori. Penso che un bravo allenatore debba saper tracciare la strada, ma se poi il giocatore non è in grado di percorrerla, non si va da nessuna parte. Il percorso si fa insieme: probabilmente fino a ora come team siamo stati abbastanza bravi, ma gran parte dei meriti sono di Matteo.