06 July 2014

La rabbia e l'orgoglio

L'INTERVISTA - Daniel Beswick ci illustra, in maniera schietta e decisa, presente e futuro di Dunlop. E a negozianti e maestri dice...

L'INTERVISTA - Daniel Beswick ci illustra, in maniera schietta e decisa, presente e futuro di Dunlop. E a negozianti e maestri dice...



di Lorenzo Cazzaniga – 7 luglio 2014

 
Ha fatto la storia del tennis, con la Maxply e la 200G imbracciata da tanti Slammer e la Fort che continua ad essere la palla più amata dagli italiani. Eppure Dunlop ha vissuto momenti difficili, con problemi di qualità sui prodotti (ormai risolti), una scelta strategica che ha fatto abbandonare i top testimonial e una certa perdita di quota di mercato, nonostante nel settore palle resti ancora nettamente il brand numero uno in Italia. Abbiamo parlato con il responsabile della filiale italiana, Daniel Beswick, per fare il punto della situazione, conoscere i progetti futuri e fare chiarezza su alcuni aspetti importanti per appassionati e negozianti.
 
Qual è la situazione attuale di Dunlop Italia?
“Positiva perché il brand a livello internazionale ha rinnovato gli accordi con i tornei Masters 1000 di Monte Carlo, Madrid e Roma fino al 2019, e questo è garanzia di continuità del nostro progetto. In Italia, nel 2011 e 2012 abbiamo registrato una perdita di bilancio e un conseguente rischio di ridimensionamento della struttura commerciale che fortunatamente non è avvenuto. Anzi, si è voluto reinvestire per mantenere vivo un marchio storico, con la ferma volontà di mantenere la leadership nelle palle e ripartire nei settori racchetta e accessori dove abbiamo perso diverse posizioni di mercato: negli anni 80 eravamo i numeri uno, ora siamo scesi al numero quattro con meno del 10% di quota di mercato, laddove nelle palle ci assestiamo intorno al 45%. In totale fatturiamo poco più di tre milioni e abbiamo chiuso l’ultimo bilancio in leggero attivo”.
 
Il 45% del mercato delle palle vuol dire…
“Secondo i dati della Sports Marketing Surveys, il mercato totale delle palle in Italia è di 480.000 dozzine (escludendo i punti vendita Decathlon e i siti Internet stranieri come Tennis Warehouse Europe o Tennis Point n.d.r.): noi vendiamo circa 205.000 dozzine. Alla fine degli anni 90 avevamo superato il 60% di quota di mercato, però c’eravamo solo noi e Penn, poi diventata Head. Da quel momento si sono aggiunti competitor importanti come Wilson che ha aperto una sua filiale che le permette di offrire prezzi più competitivi, e Babolat, il brand più innovativo in termini di marketing e che è diventato un fattore anche nel settore palle. Le loro strategie di vendita sono state piuttosto forti”.
 
Esempio?
“Se un negoziante vuole avere le racchette dei primi tre giocatori del mondo, gli unici che aiutano realmente la vendita, cioè Djokovic, Federer e Nadal, sei ‘invitato’ ad acquistare anche le loro palle. E qual è la conseguenza? Che i negozianti nascondono letteralmente le palle Dunlop perché sono le più richieste ma in magazzino si ritrovano un anno di stock di US Open o sei mesi di Babolat Team. La nostra perdita di quota di mercato è in gran parte dovuto a questa situazione”.
 
Però nel recente passato vi sono stati anche problemi di qualità nella produzione: è corretto?
“Vero, però nel 2004, quando il brand è stato acquistato da Sports Direct con vari cambiamenti nel settore direttivo delle nostre fabbriche. Veniva utilizzata una gomma non ottimale, un problema che si era verificato principalmente su un prodotto destinato al mercato tedesco. Poi un nostro macchinario ha avuto dei problemi e si creavano delle microperdite di pressione: su 244 palle, una era sgonfia. Ci sono voluti tre mesi per scoprire il difetto ma abbiamo perso un anno di produzione e dovuto ricambiare il packaging. Da 4-5 anni non abbiamo più alcun problema di qualità”.
 
Dove vengono prodotte le palle Dunlop?
“Nelle Filippine e siamo l’unico brand europeo che produce in fabbriche di proprietà. Fino al 2000 producevamo in Inghilterra, poi abbiamo spostato tutte le macchine nelle Filippine”.
 
Dunlop è stata criticata perché sul sito inglese di Dunlop, gestito da Sports Direct, azienda proprietaria del marchio Dunlop, si possono trovare le Fort ad un prezzo molto conveniente, rispetto a quello dei negozi italiani.
“Ma non sono palle di prima qualità e non sono omologate in Italia, quindi non possono essere utilizzate per svolgere un’attività agonistica ufficiale. Tuttavia, dato che le differenze non sono esagerate (si parla di una leggera perdita di pressione n.d.r.), dalla prossima produzione Dunlop si impegnerà a distinguere in maniera chiara ed evidente quelle definite Tournament Select dalle altre, senza cambiare nulla nelle caratteristiche dei vari prodotti”.

Chiaro, anche se a nostro avviso, essendo palle che supererebbero i test ITF di omologazione, restano invitanti per club, maestri e singoli utenti che volessero approfittare di un prezzo particolarmente appetibile. Se infatti una palla non omologata in Italia non può essere utilizzata in tornei ufficiali, nessuno vieta il suo impiego durante gli allenamenti, le lezioni o la scuola tennis. Sarebbe più efficace (e opportuno) la doppia distinzione: una scritta Tournament Select sulle palle di primissima scelta, e un’altra, Not Premium Quality, su quelle che presentano un lieve difetto. Anzi, sarebbe più logico che avessero perfino nomi diversi perché Dunlop Fort è sinonimo di altissima qualità, non di seconde scelte. Questo fornirebbe anche maggior chiarezza verso il consumatore. Una distinzione di cui potrebbe godere la filiale italiana di Dunlop che eliminerebbe una naturale confusione di prodotti.
“Però con i nostri circoli abbiamo accordi ben precisi che impongono l’acquisto delle palle tramite la nostra filiale perché siamo noi che offriamo l’assistenza a questi stessi club quando organizzano i tornei, a partire dai tanti Futures e Challenger che ci sono in Italia. Se scoprissi che un circolo sotto contratto con Dunlop Italia acquista le palle dal sito inglese, interromperei subito il contratto. E non solo: abbiamo chiuso un accordo col consorzio di circoli più grande d’Italia a Roma (che comprende anche il Forum e il bellissimo Villa York n.d.r.) e nel contratto ho vietato anche solo la vendita di articoli sportivi da parte di soci e maestri”.
 
Giusto: ma come scoprire chi infrange queste regole?
E’ l’aspetto più complicato. Tante volte ho visto dei maestri utilizzare prodotti della concorrenza e dirmi che proprio il giorno prima gli era stata rubata la borsa da tennis dalla macchina. Già, pare proprio che in Italia agisca una rete di ladri di borse da tennis! La Fit ha cominciato una battaglia molto corretta contro i maestri abusivi ma credo che dovrebbe ricordare ai maestri ufficiali che sono ben pagati per fare il loro lavoro, non per vendere dei prodotti sottobanco (purtroppo quella del maestro che, senza regolari licenze, vende della merce al circolo è una piaga difficile da estirpare proprio perché gli stessi maestri sono consapevoli che è difficile scoprirli n.d.r.).
 
La sensazione è che il mercato delle palle sia quello meno innovativo perché da anni non si vedono novità eclatanti dal punto di vista tecnico, riducendo la battaglia ad una mera questione di prezzo.
“Abbiamo parlato con i nostri produttori per creare nuovi feltri, più luminosi e più resistenti, oppure più stretti per far correre di più la palla o ancora che si aprono leggermente per migliorare la sensibilità e i colpi di tocco. Abbiamo fatto tantissimi test e cerchiamo di proporre modelli diversi: la All Court con la lana del feltro più stretta che la rende più veloce e che in Italia è particolarmente apprezzata perché giochiamo soprattutto sulla terra battuta, e la Clay Court che invece è più lenta e piace ai giocatori di club. Gli studi ci sono ma sono gli utenti che non apprezzano troppo i cambiamenti. Ogni volta che proponi qualcosa di diverso dalla palla tradizionale, il mercato la respinge. Per questo spero sempre che la palla Dunlop resti uguale: il giocatore italiano vuole sicurezza e continuità, senza rischi. Come la Coca Cola, che è sempre la stessa e per questo resta la bevanda più apprezzata. Il pubblico non vuole assolutamente che la Dunlop Fort cambi la sua ricetta”.
 
Mi parla di un quarto posto nel settore racchette: quante ne vende Dunlop sul mercato italiano?
Nel 2013, il nostro anno peggiore dell’ultimo decennio, abbiamo venduto circa 14.000 telai, di cui 6.000 di alta gamma. Una nostra racchetta top ha un prezzo di listino al pubblico di 189 euro che viene immediatamente scontato del 20-25%. Dopo un anno dal lancio, lo si può trovare a 125-130 euro”.
 
Chi sono i key clients di Dunlop?
“I negozi specializzati dove abbiamo una presenza attiva attraverso una forza vendita adeguata, personaggi che conoscono negozianti, maestri, presidenti e custodi dei circoli. Altrimenti non si riuscirebbe a vendere perché c’è una distribuzione sporca”.
 
Cosa intende per distribuzione sporca?
“In Italia facciamo la guerra dei prezzi sulle palle top, mentre in altri paesi questo non avviene. Il maestro vuole spendere un euro a palla da infilare nel cesto ma pretende che sia di alta gamma. Un tubo da quattro dei migliori modelli, dovrebbe costare circa 10 euro, mentre, se si acquista a cartone, lo si trova tranquillamente tra i 5 e i 5,50 euro, e in negozio da 6.50 a 8 euro. E poi trovi maestri che acquistano prodotti su Internet cercando offerte vantaggiose per poi rivenderli negli spogliatoi o nei parcheggi. E di qualunque marchio, in barba ai contratti sottoscritti. Succede anche in club molto prestigiosi”. 

E il negoziante quanto ci guadagna?
“Se vende il tubo a 8 euro ha un margine discreto; a 5,50 non ha praticamente guadagno”.
 
Ma qual è il prezzo minimo a cui un negoziante può acquistare un tubo di palle Dunlop”
“Potrei anche omaggiarle tutte…”
 
Ci spieghi.
“Se un negoziante mi acquistasse lo stesso numero di corde che fa con Babolat, le palle le regalerei! Perché è sulle corde monofilamento che hai margini incredibili. Così come su grip e overgrip. In questi settori possiamo crescere tantissimo”.
 
Ma perché Dunlop non ha completato la sua gamma prodotti con modelli top anche nelle corde, negli accessori, nelle scarpe e nell’abbigliamento, come invece hanno fatto altri brand?
“Noi abbiamo una gamma di racchette molto completa, dai modelli top di gamma a quelle da 19,90 euro. E lo stesso nelle corde, accessori e perfino scarpe e abbigliamento. Ma se vai in un negozio negli Stati Uniti troverai tutti i marchi importanti del mercato, mentre in Italia un negoziante vorrebbe tenere solo tre brand di racchette e due di abbigliamento e scarpe. Basta vedere che sono spariti anche marchi storici italiani come Ellesse e Fila”.
 
Eppure Babolat, Head e Wilson sono presenti nei negozi anche con abbigliamento e scarpe.
“Perché anche lì hanno il potere di imporre una forzatura. Se un maestro vuole usare una racchetta dei tre top brand, questi poi forzano il club a vestire le squadre con il loro abbigliamento o a giocare con le loro palle. Per noi è una lotta continua perché possiamo usare solo la palla come strumento per restare nel club”.
 
Ma chi ha più influenza negli acquisti: un testimonial come Nadal o il maestro di fiducia?
“Dove c’è un maestro che vuole guadagnare sulla vendita o avere degli omaggi dal negozio, decide ancora lui. E pretende tutto gratis! I nostri rappresentanti mi dicono sempre: ‘Il nostro strumento di lavoro è la macchina e ce la paghiamo. I maestri di tennis, i loro strumenti di lavoro li vogliono gratis!’.
 
Quanti club e maestri avete sotto contratto?
“400 circoli e circa 50 maestri con contratto omaggio, un numero destinato a diminuire”.
 
Però nei nostri Oscar, votati da 50 top negozianti specializzati italiani, su 250 possibili citazioni, Dunlop ha ricevuto solo 4 menzioni, decisamente meno di marchi come Pro Kennex e Yonex: come lo spiega, se siete realmente il quarto brand del mercato?
“Non abbiamo il traino di un top player e lavoriamo con negozianti che si fanno la concorrenza tra loro perché offrono tutti gli stessi identici prodotti, da Brunico a Trapani. Infatti negli ultimi anni, tanti negozianti hanno chiuso o comunque faticano nei pagamenti. A parte Babolat, Head e Wilson, riesci a entrare in un negozio se hai sotto contratto un maestro che si appoggia a quel punto vendita o se si dispone di un prodotto particolare: Pro Kennex, per esempio, è celebre per il sistema salvagomito o Yonex che sfrutta la visibilità televisiva che offrono i suoi ottimi testimonial, con un prodotto molto costoso che ha conquistato una sua nicchia. Ma girando il territorio, un brand come Yonex lo vedo pochissimo. Il quarto marchio per un negozio è Dunlop o Pro Kennex”.
 
Ma se come dice lei, alcuni brand forzano il negozio ad acquistare palle insieme alle loro racchette top, lei non può fare lo stesso, infilando nel pacchetto-palle anche qualche telaio?
“Non ho quel potere di negoziazione, anche perché non ho gli stessi margini sulle racchette. Io devo venderle al negoziante ad un prezzo almeno del 15% inferiore rispetto ai big del mercato, idem col prezzo al pubblico”.
 
Dunlop ha sempre avuto testimonial prestigiosi come John McEnroe e Steffi Graf, ora (con tutto il rispetto) si ritrova con Tommy Robredo e Nicolas Almagro…
“Nel 2010 avevamo quattro top 10 e non ci hanno aiutato minimamente nelle vendite. Solo tre giocatori aiutano a livello commerciale: Nadal, Federer e Djokovic, e costano decine di milioni. In un momento di crisi, non siamo disposti a investire quel genere di soldi”.
 
Ma come può un’azienda stare in piedi vendendo quasi esclusivamente palle da tennis, se i margini sono così ridotti?
“Infatti per due anni siamo andati in perdita e personalmente temevo anche che volessero chiudere la nostra filiale italiana”.
 
Cosa ha permesso di salvarla?
“Ho fatto un mix di prodotto. Adesso se un negoziante vuole acquistare le palle ad un prezzo realmente vantaggioso, deve inserirmi grip, overgrip e corde. Io sono un buon giocatore di club ma tra una corda Dunlop Black Widow e una RPM Blast, onestamente non capisco la differenza. E magari se pago l’incordatura dieci euro in meno, ringrazio pure il negoziante”.
 
Quindi il miglioramento economico di Dunlop Italia non è data da una maggior performance nel settore palle, ma da quanto si riesce a creare intorno?
“Assolutamente. E per il 2015 avremo novità nelle corde e negli accessori, mentre sulla palla non c’è ulteriore marginalità. Se un negozio mi chiede 100 cartoni di palle e basta, non è un ordine interessante. Se insieme mi mette anche 40 confezioni grip e 20 matasse di corde, posso invece ringraziarlo con un prezzo competitivo anche sulle palle”.
 
Federazione Italiana Tennis: quali sono i vostri rapporti?
“Abbiamo rinnovato la sponsorizzazione a livello internazionale con il torneo di Roma fino al 2019. Un evento che mi dà la possibilità di vendere le mie palle in Italia con orgoglio e con un plus importante rispetto ai miei concorrenti. In più, l’investimento è fatto dalla casa madre e, come filiale italiana, raccolgo il 90% dei frutti. Solo durante il torneo, il nostro stand ha incassato circa 200.000 euro”.
 
Capitolo omologazione palle: voi sapete dove e come vengono svolti i test? Avete mai presenziato? Conoscete i risultati?
“Non ho mai indagato, diamo giusto un paio di cartoni per modello da omologare. Per certo c’è solo che se non fai parte del pool di brand creato dalla Federazione, sei fuori dal mercato perché le tue palle non potrebbero essere utilizzate per l’attività agonistica”.
 
Però quando era nato un consorzio di aziende per dialogare con la Fit e strappare condizioni più coerenti col mercato, è stata proprio Dunlop ad abbandonare il progetto e a chiudere un accordo con la Fit…
“Io cerco di muovermi in maniera da offrire i maggiori benefici possibili al brand per il quale lavoro. Per me, far parte di quel gruppo era la soluzione migliore per ottenere questi benefici. Ma quando casa madre ha saputo che stavamo creando un ostacolo con la Federazione, sono andati a parlare direttamente con la Fit (il responsabile Sud-Europa, Federico Guallar, con il Presidente Fit, Angelo Binaghi n.d.r.) scusandosi per il mio comportamento e dicendo che volevano trovare una soluzione per continuare a collaborare. Ma io sono grato di quel patto perché altrimenti avrei rischiato veramente di perdere quote di mercato e di vedere la filiale italiana chiudere in breve tempo”.
 
Quali sono gli obiettivi per il prossimo futuro?
“Vogliamo consolidarci dove siamo forti: conservare la leadership nelle palle e ripresentarci con una gamma più moderna di racchette, pur senza l’intenzione di spendere milioni di euro per un testimonial. Le nostre racchette sono spesso considerate troppo difficili, ma la nuova gamma che sarà nei negozi a novembre, sarà ben diversa e punterà soprattutto sulla potenza. Tennis a parte, il nostro proprietario sta sviluppando una gamma di articoli sportivi davvero completa e che vorrei proporre ai negozianti italiani: dalle racchette da tennis tavolo a quella da badminton, dalla infradito agli asciugamani. Con un acquisto minimo, puoi offrire un servizio importante ad una famiglia che non sa più dove acquistare questi prodotti sportivi”.
 
Quali sono i vostri rapporti con i negozianti?
“Sono la vetrina verso il pubblico e quindi vogliamo essere sempre presenti. Però gli accordi commerciali vanno rispettati: se un negoziante è in difficoltà, proviamo ad aiutarlo, ma se notiamo che non ha l’intenzione di pagare, dobbiamo intervenire, perché rischiamo di subire una doppia conseguenza: quel negozio non fornirà più palle Dunlop ai circoli dicendo che non ci sono o che sono di scarsa qualità. Noi forniamo oltre 400 ragioni sociali, ma solo 150-160 trattano il tennis con efficacia. Tanti sono falliti per la grande pressione fiscale, per mancanza di innovazione o per progetti sovrastimati: tanti negozi aprono e chiudono dopo 18 mesi, ovviamente lasciando dei buchi pazzeschi”.
 
Possibilità che i vostri proprietari di Sports Direct sbarchino anche in Italia con i loro negozi?
Attualmente non vedo possibilità. Io vivo in Italia da tanto tempo e sono legato al vostro paese, ma nel Nord Europa non hanno sempre una grande considerazione per i paesi del Sud Europa. In più, non siamo ancora usciti dalla crisi economica”.

Ma quali sono le maggiori difficoltà che Dunlop incontra sul mercato italiano?
“Semplice, ai negozianti piacerebbe lavorare solo con i tre marchi principali di racchette ma la richiesta di palle Dunlop è sempre altissima e non ne possono fare a meno. Quindi, se vogliono ottenere le migliori condizioni, devono venire incontro anche alle esigenze dell’azienda, con ordini programmati o acquisto di corde e accessori. Cosa che succede solo con i tre top brand e… le palle Dunlop! Per questo non sempre risultiamo ‘simpatici’. In più, i club ci tempestano per avere le nostre palle; noi, seguendo la corretta procedura, passiamo attraverso il negozio di appoggio che magari vorrebbe spingere un altro marchio e invece non può. E sai cosa succede spesso?
 
Ascolto.
“Abbiamo provato a fornire palle gratuite per un torneo Challenger per poi scoprire che il negoziante che doveva fare da tramite le… aveva rivendute al club! E ancora: una volta ho inviato in emergenza un cartone di palle per un torneo rodeo alle porte di Milano perché il negoziante non aveva più palle Dunlop disponibili. Mi sono casualmente presentato il sabato e ho notato che il giudice arbitro utilizzava… palle Wilson. ‘Sono quelle che ci ha fornito il negoziante’ mi ha spiegato. Già, perché cosa accade? Che un negoziante si tiene le palle Dunlop che noi forniamo gratuitamente al torneo per rivenderle in negozio e al club fornisce le palle di un altro marchio che gli sono rimaste un magazzino! Non è sempre facile lavorare con i negozianti di tennis”.
 
Ma in questi casi non si può avvisare la Federazione in modo che annulli il torneo?
“Certo, però perderei i clienti che spesso sono… diciamo… permalosi. Per esempio, succede che un negoziante sia in forte ritardo e che io gli chieda cortesemente di effettuare il saldo per non dover avvisare la parte legale. Magari lo fanno ma poi non ti parlano per mesi, anche se tu hai chiesto semplicemente di saldare un ordine che hanno richiesto loro! Ripeto, non è sempre facile lavorare con i negozianti di tennis. Altri mercati sono più semplici: prendi la Francia, dove siamo solo la palla numero cinque. Là, il mercato è fatto di pochissimi ma grandi clienti ed è più facile organizzare il lavoro. In Italia è l’opposto”.

 
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