Riccardo Bisti
11 October 2017

La parabola al contrario di Bahamonde

Un paio d'anni fa, il 20enne argentino aveva iniziato a giocare per l'Italia. Salito al n.344 ATP, un anno dopo ha abbandonato l'attività. Oggi studia Amministrazione d'Impresa a Mendoza e gioca a tempo perso, vincendo tornei equivalenti ai nostri Open. “Me la passavo male: contratti, pressioni... ma io ero solo un ragazzo”.

Sono passati sei anni da quel fatidico 25 ottobre 2011. Vincendo un match al Futures di Rosario, Francisco Bahamonde conquistava il suo primo punto ATP. Aveva 14 anni e 11 mesi, più giovane argentino di sempre a entrare nel ranking mondiale. La faccenda non passò inosservata, a maggior ragione in un paese come l'Argentina. Tanti occhi si appoggiarono su un ragazzino dai capelli riccioli, soprannominato “Panchito”, che esibiva con orgoglio una foto insieme a Juan Martin Del Potro. Si scoprì che aveva iniziato a giocare a 8 anni, sulle orme del padre, assiduo frequentatore del Mendoza Tenis Club. Grande tifoso del San Lorenzo de Almagro, stessa squadra del cuore di Papa Francesco, aveva idee e sogni ben chiari: entrare tra i top-20 e magari vincere il Roland Garros, per quanto la sua superficie preferita fosse il cemento. Stava crescendo, Panchito: tra i suoi sponsor, c'erano addirittura le istituzioni locali di Mendoza. Poi ci fu una conversazione con Eduardo Infantino, all'epoca direttore del Centro FIT di Tirrenia. Gli disse che in Italia, volendo, c'era posto anche per lui. Bahamonde fece due conti, forse ripensò a una frase detta anni prima: “I tennisti europei hanno tutto pronto”. E così accettò. Addio albiceleste (che pure aveva rappresentato in Davis Cup Junior e diversi eventi), ecco il tricolore italiano e una stanza da condividere a Tirrenia con Andres Ciurletti, altro argentino d'importazione azzurra (attuale n.1251 ATP, suo best ranking). Ha fatto quel che poteva, issandosi fino al numero 344 ATP, raggiunto il giorno di Ferragosto di un anno fa. Oggi, tuttavia, Francisco Bahamonde è un ex tennista. Ha detto addio all'attività internazionale e si è rifugiato nella sua Mendoza, lontano dalle pressioni e dalle difficoltà del tennis professionistico.

I RISULTATI C'ERANO, MA...
​Gioca ancora per diletto: in estate ha trascorso un paio di mesi negli Stati Uniti, a casa del suo coach Sten Van Beurden, con il quale aveva già lavorato a Mendoza. Ha giocato alcuni tornei USTA, l'equivalente dei nostri Open. Adesso è tornato a casa, dove si divide tra gli studi in Amministrazione d'Impresa e qualche torneo locale. Lo scorso weekend, ha vinto un torneo presso il Club Vistalba di Mendoza, laddove si gioca più a hockey che a tennis. Per rendere l'idea di quanto sia lontano dal mondo che frequentava fino all'anno scorso, la finale si è giocata a una settimana di distanza dalla semifinale. Battendo Martin Capdevilla, si è aggiudicato il terzo torneo stagionale. Ma i sogni che qualcuno aveva riposto su di lui, anche in Italia, sono destinati a rimanere tali. Qualcuno aveva definito lui e Ciurletti “italiani all'estero”. Non era vero: Bahamonde è argentino a tutti gli effetti e ha un doppio passaporto in virtù di un nonno italiano, originario di chissà dove. Lui non lo sapeva. David Nalbandian, almeno, era a conoscenza che i suoi avi provenivano da Strambino, nei pressi di Ivrea, quando nel 2002 prese il passaporto italiano. Quando è arrivato a Tirrenia, Panchito non sapeva niente dell'Italia. Gli hanno messo i tecnici FIT a disposizione, e qualche risultato è arrivato. “Ma non sono pentito della scelta di smettere – racconta – negli ultimi due anno ho vissuto proprio male. Non era una questione di risultati, ma ho sempre avuto in testa l'idea di lasciar perdere. Andavo avanti perché vincevo partite e salivo in classifica, però stavo male. Avevo paura degli aerei, di tutto. Ho dovuto fermarmi per forza altrimenti sarebbe finita male, e non lo volevo in nessun modo. Adesso è tutto più tranquillo”. Bahamonde menziona gli ultimi due anni, guarda caso quelli in cui ha giocato per l'Italia. Una realtà più grande di lui, evidentemente, lo ha travolto.

L'EREDITÀ DEL TENNIS
​Oggi è un 20enne come tanti: è tornato a vivere con i genitori, al mattino va all'Università e poi pranza in famiglia. Se deve studiare, lo fa. Altrimenti si allena in scioltezza oppure va in palestra. “Il tennis mi ha aiutato moltissimo. Sono maturato in fretta, perché ho dovuto risolvere tante cose per conto mio. Inoltre mi ha dato la costanza e la disciplina che oggi mi servono per studiare”. Tutto vero, ma oggi il tennis è secondario nella sua vita. Lo usa come diversivo, quasi come hobby. Prende tutto il bello, il divertimento, la gioia che gli trasmetteva da bambino. Via tutti i pensieri cattivi. “La vita da tennista era troppo dura: grandi tornei, contratti, pressioni, e io ero solo un ragazzo”. Nella vita di ogni giocatore arriva il momento in cui si rende conto che deve trascorrere tante, troppe notti in letti diversi dal proprio. Qualcuno ci riesce, altri no. Nella sua stanza a Tirrenia, Bahamonde si è sentito perso. Nel 2016 ha vissuto la lunga estate dei tornei italiani, alternando Futures e Challenger, poi è tornato a casa. Gli ultimi due tornei, giocati in Argentina, sono stati l'ultima esalazione di una carriera che non è mai iniziata, anche se ha raccolto scalpi importanti: Fabbiano, Gerard Granollers (due volte), Bourgue, Andrej Martin... c'erano buone premesse, ma la sua testa si è rifiutata. Vien da domandarsi – è inevitabile – cosa sarebbe successo se non fosse arrivata la chiamata dell'Italia, con le sue inevitabili conseguenze. Forse si sarebbe arreso lo stesso, forse no. O forse non si sarebbe nemmeno avvicinato a certi livelli. Oggi c'è una sola verità: Francisco Bahamonde è un ex tennista. Magari un giorno tornerà, aprendo un nuovo capitolo. Per adesso, il suo libro tennistico è chiuso.

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