C'è chi si è ribellato alla sfortuna e ha vissuto il suo momento di gloria.
C'è chi non ne vuole sapere di mollare.
Ma c'è anche chi, a 26 anni di età, si domanda se sia il caso di continuare a dannarsi l'anima. Qualche anno fa, il quotidiano sportivo “Marca” dedicava una pagina a due giovani spagnoli che, nelle speranze, avrebbero dovuto rappresentare il ricambio per il post Nadal: Carlos Boluda e Javier Marti. L'ingombrante etichetta di “Nuovo Nadal” era finita all'alicantino, mentre Marti cresceva con relativa tranquillità, miglior spagnolo della sua generazione insieme a Pablo Carreno Busta. Chissà cosa pensava, Javier Marti, mentre il suo connazionale raggiungeva la semifinale allo Us Open, artigliava i top-10 e giocava addirittura alle ATP Finals. Probabilmente non aveva tempo per pensare, perché stava vincendo un Futures dopo l'altro nel tentativo di rimettere in piedi una carriera andata in malora per un gomito ribelle. Adesso, forse, Javier avrà il tempo di riflettere. E potrà disperarsi, pensando che – senza cinque operazioni al gomito, le ultime due lo scorso maggio, a pochi giorni di distanza – al posto di Carreno Busta avrebbe potuto esserci lui. Di sicuro lo pensava nell'ottobre 2011, quando Juan Carlos Ferrero gli offrì una wild card per il defunto ATP 500 di Valencia. Primo avversario: Jo Wilfried Tsonga, reduce dal successo a Vienna. Con qualità e spavalderia, Marti allungò la sfida al terzo set. Appena diciannovenne, ben fissato tra i top-200 ATP, nutriva grandi ambizioni. “Non solo da parte mia: avevo ottenuto grandi risultati da giovane, le aspettative erano alte, le aziende credevano in me. C'era tanta pressione, ma ero in grado di gestirla”. Se andiamo a leggere la sua scheda, oggi, scopriamo che non è mai andato oltre il numero 170 ATP e ha vinto soltanto tornei Futures. Ma le schede sono asettiche, non raccontano cosa c'è dietro ai risultati, alle montagne russe di una classifica impazzita.