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La lezione di Isner: per vincere bisogna divertirsi

Prima del Miami Open, l'americano aveva vinto appena due partite nel 2018 (e 3 tie-break su 10). Si è magicamente ritrovato, centrando l'undicesima semifinale in un Masters 1000 e riconquistando un posto tra i top-10. “Servo bene, ma mi sento a mio agio anche nel palleggio”.

Soltanto un paio di settimane fa, l'ATP aveva realizzato una mini-intervista con John Isner. Gli chiedevano le sue preferenze tra i vari Masters 1000: città, ambientazione, ricordi, nonché quello che preferirebbe vincere. Aveva ricordato le finali a Indian Wells e Cincinnati, citando anche i buoni risultati a Miami. È stata l'unica menzione a un torneo che tra pochi giorni abbandonerà l'isolotto di Key Biscayne per tornare sulla terra ferma. Aveva speso parole al miele per Indian Wells, Shanghai e Parigi Bercy (che lo emoziona per l'ingresso-show dei giocatori, in cui viene passata “strana musica europea”). Magari tra qualche giorno cambierà idea e metterà Miami davanti a tutti. In fondo, è quasi un torneo di casa per lui. Ogni anno non si fa mancare la grigliata in famiglia in North Carolina, però da parecchi anni si è trasferito a Tampa, non troppo distante da Miami. Proprio a Miami ha dato una svolta dopo che si era presentato con appena due vittorie in stagione, su Lajovic in Coppa Davis e su Albot a Delray Beach. Con quasi 33 anni nelle gambe e nel cervello, poteva essere il principio di un declino. Invece Long John è in semifinale e può giocarsi le sue chance di arrivare in fondo. Nei quarti ha spento le speranze di Hyeon Chung, che pure era arrivato nei quarti senza mai perdere il servizio. Gli è bastato incassare un break al quarto game per disunirsi e lasciare strada a un Isner che sta giocando bene in ogni settore del gioco, e non solo al servizio. “Ovviamente ho curato i turni di battuta, ma non ho sentito la necessità di accorciare tutti gli scambi. Potevo essere paziente nello scambio perché ero contento di come giocavo e di come mi muovevo. Quest'anno non mi ero mai mosso così bene sul campo. Non è il frutto di chissà quale lavoro fuori dal campo, ma è semplicemente una questione di fiducia”.

CONDIZIONI IDEALI
I risultati degli ultimi mesi gliel'avevano tolta, ma Isner non è tipo da demoralizzarsi. Ha continuato a lavorare a testa bassa, senza mai perdere il buon umore. E poi è un vincente: quando raggiunge i quarti in un Masters 1000, vince quasi sempre. Si è spinto in semifinale 11 volte su 14. Come detto, per tre volte è arrivato a un passo dal titolo: Indian Wells 2012, Cincinnati 2013 e Parigi Bercy 2016. John sostiene di giocare bene da fondocampo, ma non c'è dubbio che il servizio gli abbia dato una (grossa) mano. In tutto il match ha raccolto il 97% di punti con la prima palla (31 su 32), dato ancor più valido se si pensa che Chung è un ottimo ribattitore. “Le condizioni sono perfette per me – ammette – i rimbalzi sono alti, il campo non è troppo veloce ma la palla penetra rapidamente nell'aria. In passato avevo giocato bene, sono felice di averlo fatto di nuovo”. L'ultimo “estraneo” a vincere a Miami era stato Andy Roddick nel 2010, mentre è pane per statistici ricordare che l'ultima edizione del torneo senza neanche un Fab Four negli ottavi era stata addirittura quella del 2000. “Ogni partita che ho giocato in questo torneo ha segnato un miglioramento rispetto alla precedente. È un ottimo segnale, poi le condizioni sono perfette per me”. La semifinale a Crandon Park gli consentirà di tornare tra i top-10 (per ora è numero 10, in caso di vittoria supererebbe David Goffin in nona posizione) e di riprendersi la leadership nazionale. Essere il miglior giocatore americano non è esaltante come qualche anno fa, ma resta pur sempre una soddisfazione.

L'IMPORTANZA DELLE SENSAZIONI
​Chiunque conosce Isner ne parla con toni entusiastici. È il classico bravo ragazzo, quello che ogni madre vorrebbe per la propria figlia. Non gioca un tennis spettacolare, ma il suo approccio al lavoro è ammirevole. “I miei ultimi risultati dimostrano che nel tennis, così come in qualsiasi altro sport, puoi sembrare in crisi e fuori fase, ma se continui a crederci e a tenere il passo, pensando che il meglio debba ancora venire, le tue aspirazioni diventeranno realtà. È stato certamente il mio caso in questi giorni”. Questo improvviso cambiamento ha una ragione: ha passato parecchio tempo con i suoi coach, Rene Moller e David Macpherson, per cercare di capire cosa non avesse funzionato nei match equilibrati. Basti pensare che prima di Miami aveva giocato dieci tie-break, vincendone appena tre. Una percentuale in controtendenza rispetto a una carriera che si è basata su un braccio glaciale nei momenti importanti. “A testimonianza di come molte risposte si trovino in mezzo alle orecchie” ha detto, felice per le sensazioni che sta avvertendo sul campo da tennis. “Se riuscissi a mantenerle e a fissarle, sarebbe tutto molto più facile. In fondo basta prendersi cura del servizio, tirare i colpi e rilassarsi. È molto più difficile giocare quando sei teso e hai il gomito bloccato. In questi giorni mi sto divertendo”. Ecco la parola magica: divertirsi. Sarà pure sempre un lavoro, per questi iper-professionisti. Tuttavia, il tennis continua a rimanere un gioco.

ATP MASTERS 1000 MIAMI – Quarti di Finale
John Isner (USA) b. Hyeon Chung (COR) 6-1 6-4
Juan Martin Del Potro (ARG) b. Milos Raonic (CAN) 5-7 7-6 7-6

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