“SE MI FACCIO MALE, SMETTO”. INVECE...
Mostrando una notevole forza di volontà, è tornato nel tour lo scorso marzo, senza classifica ATP. Oggi è n.242 e gli ultimi risultati hanno convinto l'Australian Open ad abbracciarlo ancora una volta. Con 50.000 dollari garantiti, potrà programmarsi con tranquillità. Allontanerà i fantasmi delle tante notti in Europa, in cui navigava a vista a causa di un portafoglio non sempre gonfio a sufficienza. Il miracolo è avvenuto in estate, quando ha lasciato l'Europa e si è allenato intensamente a casa. “E sono rimasto sorpreso da come abbiano tenuto bene le ginocchia – racconta – ero preoccupato di potermi fare male di nuovo, ma piano piano mi sono tolto i cattivi pensieri. Mi sono allenato sul duro per tre mesi e non si sono quasi mai gonfiati, mentre i dolori sono arrivati in altre parti del corpo. Ma ho sempre pensato che avrei potuto fare buone cose su un campo in cemento”. Prima di tornare in gara a settembre, aveva le idee chiare: se si fosse fatto male, avrebbe smesso di giocare. “Ma se non arriveranno infortuni, continuerò a giocare”: è finita che ha giocato 19 partite, vincendone 15. Non contento, a Playford ne ha vinte altre otto di fila, partendo dalle qualificazioni. Adesso la classifica pompa ossigeno, al numero 242 ATP. Un'emoticon moderatamente soddisfatta, in attesa di diventare sorridente. “Sto vivendo una situazione irreale: tra la vittoria a Playford e la wild card per Melbourne, non potrei chiedere di più”. Nei quarti ha battuto il connazionale Alex Bolt (pure lui wild card a Melbourne), poi il bombardiere Reilly Opelka, infine il canadese Brayden Schnur. “La finale è stata soprattutto una questione mentale, eravamo molto tesi. Ma mi ha colpito il modo in cui sono riuscito a gestire le mie emozioni”. Ne avrà bisogno anche all'Australian Open, in modo da potersi godersi appieno l'esperienza. Otto anni fa, non era stato possibile. “Affrontai Ivan Ljubicic e andò tutto molto di fretta. Stavolta spero di fare meglio, adesso mi sento pronto sul piano mentale”. Sei interventi chirurgici segnano uno spartiacque: o non ti alzi, oppure torni molto più forte. Jason Kubler ha scelto la seconda via.