Marco Caldara
14 August 2018

La crisi infinita di Sock: da leader a disastro

A fine 2017 agguantava in extremis un posto alle ATP Finals vincendo a Parigi Bercy, e poi arrivava a un solo set dalla finale all’O2 Arena. Ma i propositi da top player di Jack Sock sembrano franati: è numero 176 della Race, e nel 2018 ha vinto la miseria cinque partite in sedici tornei. Ha perso subito anche a Cincinnati, raccogliendo l'ottava sconfitta di fila.
La statistica è impietosa: fatta eccezione per Jo-Wilfried Tsonga, che però ha giocato due soli tornei prima di fermarsi per infortunio, non esiste uno solo giocatore fra i primi 100 della classifica ATP (ed è meglio non guardare oltre…) ad aver vinto nel 2018 meno partite di Jack Sock. Una crisi senza fine che, per assurdo, sembra scattata sul finire dello scorso anno, quando l’off season l’ha fermato nel miglior momento della sua carriera. Con un sorprendente titolo al Masters 1000 di Parigi Bercy si era guadagnato in extremis l’ottava posizione della classifica mondiale e l’impensabile accesso alle ATP Finals, dove avrebbe superato la fase a gironi arrivando poi a un solo set dalla finale. Ma chi pensava che gli Stati Uniti avessero finalmente trovato un degno erede di Andy Roddick, del Nebraska come lui e dalle caratteristiche tecniche piuttosto simili a Sock, è stato costretto a ricredersi in fretta, in un 2018 davvero terribile. In sedici tornei Sock ha vinto la miseria di cinque partite, battendo solo un top-50 e raccogliendo una lunga serie di sconfitte che non solo ha completamente modificato (almeno per ora) le prospettive sul suo futuro, ma che rischia seriamente di farlo sprofondare in classifica. In tutto l’anno è riuscito a superare solamente un turno a Delray Beach, Indian Wells, Miami, Houston e Roma, dove contro David Ferrer ha raccolto la sua più recente vittoria in ordine cronologico. Da allora sono arrivati otto KO di fila, l’ultimo all’esordio a Cincinnati, sul suo amato cemento americano, contro Hyeon Chung. Sul Centrale Sock ha giocato un buon primo set, vincendolo per 6-2, ma appena il coreano ha suonato la carica il 25enne di Lincoln è ripiombato in fretta nell’incubo che lo accompagna da gennaio, raccogliendo appena tre game fra secondo e terzo set.
ANCORA TOP-20, MA NELLA RACE È N.176
Il ranking vero e proprio per il momento nasconde i problemi di Sock, collocandolo ancora al numero 20 del mondo, ma senza i 1.400 punti raccolti negli ultimi due tornei dello scorso anno, oggi lo statunitense sarebbe fuori dai primi 140 del mondo, visto che da gennaio in avanti ha raccolto la miseria di 250 punti. Per intenderci, gli stessi che nel 2017 si prese al primo torneo dell’anno, vincendo il titolo ad Auckland, tanto che nella Race to London è addirittura al numero 176. Significa che non solo non rivedrà di certo le Finals, a meno di improbabili miracoli nell’ultima fetta di stagione, ma che c’è il rischio concreto di vederlo presto fuori dai primi 100 del mondo. A marzo ha parzialmente ammesso le sue difficoltà, ma le ha anche catalogate come un problema passeggero, risolvibile solo con qualche vittoria in più, tanto che aveva addirittura rincarato la dose, parlando di obiettivo top-5 come base per andare sempre più su. Invece, nei mesi successivi la situazione è addirittura peggiorata e sono affiorate la spocchia e il nervosismo, come avvenuto a Wimbledon, quando seccato dalla sconfitta contro Matteo Berrettini ha dato gratuitamente del pezzo di m***a a Vincenzo Santopadre, coach del laziale. Fortuna che c’è il doppio, che quest’anno gli ha regalato già quattro titoli, altrimenti la situazione sarebbe ancora più critica. Sock ha vinto a Delray Beach, Indian Wells, Lione e soprattutto a Wimbledon, bissando il titolo vinto nel 2014 e restituendo a Mike Bryan un titolo Slam che col fratello Bob – ai box per un’operazione all’anca – gli mancava da quattro anni. Tuttavia, non è mai riuscito a trasferire nel singolare la fiducia accumulata grazie ai successi in doppio, tanto che negli States i più maliziosi l’hanno già catalogato come doppista, consigliandogli di lasciar perdere il singolare. Esagerano, ma di sicuro è giunto il momento di fare un bagno d’umiltà e porsi qualche domanda, per trovare le ragioni di un’involuzione sinceramente preoccupante.
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