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Marco Caldara
16 October 2017

La benzina infinita dei Wonder Twins

Dopo aver polverizzato ogni record, Bob e Mike Bryan non vincono un torneo del Grande Slam da più di tre anni, ma restano una delle migliori coppie di doppio e hanno appena conquistato la qualificazione alle ATP Finals per il quindicesimo anno di fila. Cosa li spinge ad andare avanti? Il sogno di un ultimo Slam, per dire addio con stile.
Se il doppio avesse lo stesso valore e la stessa considerazione dei periodi d’oro, Bob e Mike Bryan sarebbero visti quasi al pari di Roger Federer, Rafael Nadal e compagnia. Invece, anno dopo anno la disciplina di coppia ha perso gradualmente appeal, tanto che i veri malati di tennis farebbero fatica a elencare i primi dieci doppisti del mondo, e anche uno che dal doppio ha avuto molto come John McEnroe ha detto e ripetuto che sarebbe una specialità da abolire. Ma i due gemelloni di Camarillo (California) restano comunque due autentiche leggende del nostro sport, capaci di evitare a suon di titoli che l’interesse per il doppio scendesse addirittura più in basso, e soprattutto ancora super competitivi a 39 anni compiuti. Non sono più gli indiscussi dominatori che sono stati per un decennio, e dopo dieci stagioni consecutive con almeno un tiolo Slam non ne vincono uno da oltre tre anni, ma per il momento sono ancora in pista. Malgrado abbiano deciso di rinunciare alla trasferta asiatica, gli americani hanno appena conquistato la quindicesima qualificazione consecutiva per le ATP Finals, la sedicesima in assoluto. Va detto che le partecipazioni sono una in meno, a causa del forfait del 2007, ma sarebbero ancora di più se il torneo non fosse stato sospeso nel 2002 e sostituito l’anno precedente dall’ATP Doubles Challenge Cup. Una dimostrazione di longevità che conferma come nel doppio le carriere possano essere molto più lunghe, e con un’adeguata preparazione si possa ancora aver successo anche in età da pensione (tennistica).
UNA SOLA MOTIVAZIONE: LA PASSIONE
Non siamo più di ragazzini – ha detto Mike, più anziano dei due per… due minuti – ma credo che nello sport la longevità sia una cosa meravigliosa. Il tennis ne ha tanti esempi: penso a Federer, Serena Williams, Venus, e tanti altri. In doppio si può andare anche oltre i 40 anni, e questo è un messaggio positivo anche per tutti i giovani. Sanno che possono avere davanti fino a vent’anni di carriera, cosa che un tempo era impossibile”. Tutto vero, ma il punto è: cosa spinge ad andare avanti due che hanno distrutto ogni record? Il loro palmarès mette i brividi. Hanno conquistato 16 tornei del Grande Slam, un Career Golden Slam (gli unici nella storia del doppio), 34 Masters 1000, dieci volte il numero uno di fine anno e oltre il doppio delle vittorie rispetto alla seconda coppia più vincente di sempre. I mitici “Woodies” chiusero la carriera a quota 508 successi, mentre loro hanno fatto 1.000 lo scorso anno a Vienna, li hanno doppiati agli Internazionali d’Italia e oggi sono a 1037. Aggiungici che sono nella top-30 dei tennisti più ricchi di sempre, pronti all’assalto a quota 15 milioni (a testa), e pure che Bob ha già tre figli e girare per il mondo diventa sempre più complesso, e nella lista delle motivazioni ne resta una sola: la passione. “Il tennis ha accompagnato tutta la nostra vita – spiega Bob, il mancino – e oggi andiamo in campo per la soddisfazione di esserci, per divertirci e provare a fare ancora qualcosa di importante. Oggi l’obiettivo è questo, dopo aver passato anni a battere record su record”. Purtroppo per lui, ce n’è uno che difficilmente strapperà al fratello: in coppia hanno vinto 114 titoli, ma Mike ne vanta due in più, perché nel 2002 ha giocato quattro tornei con altri compagni, vincendo a Long Island con Bhupathi e a Nottingham con Knowles.
Bob (sinistra) e Mike Bryan ai tempi del primo dei loro 16 titoli Slam, il Roland Garros 2003
SOGNANDO UN ADDIO ALLA SAMPRAS
Dopo aver lavorato per dodici anni con David Macpherson, uno degli artefici del loro successo, nel gennaio di quest’anno i “Wonder Twins” sono tornati sotto la guida di Phil Farmer, l’uomo che li accompagnò alla conquista del loro primo Slam, il Roland Garros del 2003. Segno che puntavano a fare di più che nel 2016, e malgrado un inizio splendido con la finale all’Australian Open i titoli sono calati da tre a due (Eastbourne e Atlanta). Ma c’è ancora qualche chance per aumentare il bottino, magari proprio all’O2 Arena, dopo hanno vinto il Masters di fine anno nel 2009 e nel 2014, bissando la doppietta realizzata a Houston nel biennio 2003-2004. Il bello è che la loro carriera sembrava destinata a terminare dopo i Giochi Olimpici di Rio 2016, invece all’ultimo rinunciarono al torneo per colpa del virus Zika e oltre un anno dopo la parola “ritiro” non l’hanno mai menzionata. E pare proprio che ci sia l’intenzione di andare avanti ancora. “Sappiamo di essere alla fine della nostra carriera – dice ancora Mike –, e ne parliamo spesso, ma per il momento chi lo sa. Siamo ancora qui, ci piace ancora giocare, ci piace ancora lavorare duro, e puntiamo a fare il meglio possibile”. Il sogno è tornare a vincere un ultimo torneo del Grande Slam, che gli permetterebbe di agguantare i 17 di John Newcombe, e diventare insieme a lui i doppisti più titolati di tutti i tempi. E magari dire addio al tennis come fece Pete Sampras nel 2002, con un trofeo del Grande Slam fra le braccia. “Sarebbe bello uscire di scena come ha fatto Pete – chiude Bob – e continuiamo a credere di potercela fare. Siamo qui per questo”. Non si può dire che non se lo meriterebbero.
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