L'AVVERSIONE PER I VIAGGI
“Da ragazzino non avevo mai pensato di poter diventare un tennista professionista. Si può dire che il tennis sia arrivato per caso. L'anno scorso ho giocato 18 tornei, e probabilmente ne ho mollati 8. Nonostante tutto, sono ancora tra i top-20 ATP”. Come a dire che lui, se vuole, può battere tutti. Ma non sempre vuole, e forse nemmeno gli interessa. A Kyrgios, la voglia di tennis va e viene. “Ci sono giorni in cui trovo divertente giocare, mentre in altri preferirei fare dell'altro. In particolare, quando sono in viaggio è difficile trovare le giuste motivazioni. Non mi piacciono i viaggi. Anzi, odio viaggiare”. Anche per questo, continua a ritenere Canberra “la migliore città del mondo” e ad avere un atteggiamento altalenante. Gli capita di avere comportaenti al limite, come il famoso “tanking” di Shanghai 2016, ma anche di lottare come un leone in Coppa Davis, oppure quando stava per battere un grande Federer a Miami. Mentre il suo amico Andy Murray, con il quale ha condiviso qualche sessione di palestra, ha imparato a misurare le parole, Kyrgios è ancora molto spontaneo. E non ha problemi nell'ammettere che l'anno scorso, al Queen's, scese in campo contro Raonic tirandosi su da un divano in players lounge, senza neanche riscaldarsi. La scivolata di quest'anno è stata accidentale, ci mancherebbe, ma un approccio più professionale alle partite non guasterebbe. E allora si finisce sempre lì, al discorso del coach. Da qualche settimana, si fa seguire – part time – dall'ex top-5 Sebastien Grosjean. Ma le parole di Nick non incoraggiano.