Marco Caldara
04 December 2017

Ferrero tra Zverev, Champions Tour e Catalogna

Entrato nel team di Alexander Zverev per una collaborazione a tempo, Juan Carlos Ferrero è diventato in fretta un elemento preziosissimo. Che potrà diventare determinante per aiutare il tedesco a compiere l'ultimo step. "Cosa mi sorprende di lui? La capacità di sacrificarsi. Una qualità difficile da trovare nei giovani di oggi". Intanto, anche il coach sa ancora vincere.
Alexander Zverev ha chiuso il 2017 al numero 4 della classifica mondiale, con due titoli Masters 1000 in tasca e la conferma che tutti si aspettavano dal suo tennis: un giorno, forse nemmeno troppo lontano, in testa al ranking ATP ci sarà il suo nome. Roba che non si vedeva da un pezzo se si considera che il ragazzone di Amburgo ha soli 20 anni, eppure la sua stagione termina comunque con qualche rimpianto. Quanti incontri ha perso che poteva vincere? Un sacco, segno che il livello è già altissimo, ma ci sono ancora troppi alti e bassi figli dell’età, da limare per iniziare a fare il top player a tempo pieno anche nei tornei del Grande Slam e per confermarsi a certi livelli anche il prossimo anno, quando nella bagarre per i titoli che contano si inseriranno di nuovo – o almeno si spera – Djokovic, Murray, Wawrinka e Raonic. Un compito che spetta a lui ma anche a chi lo guida, in primis a quel Juan Carlos Ferrero entrato nel team in punta di piedi nel corso dell’estate, ma diventato in fretta un elemento preziosissimo. Zverev l’aveva ingaggiato per provare a migliorare i risultati del 2016 sul cemento americano, e il loro debutto è stato meraviglioso, con due titoli back-to-back, prima a Washington e poi all’Open del Canada. Così Zverev ha chiesto un maggiore aiuto, e l’ex numero 1 del mondo ha messo da parte per un po’ la sua accademia “Equelite” di Villena e ha addirittura rifiutato l’incarico di capitano di Coppa Davis, per poter dedicare più attenzione possibile al suo gioiellino.
“NUMERO 1 ATP? IMPORTANTE IL 2018”
“Per Sascha è stato un anno molto importante – ha detto “Mosquito” –, in cui ha ottenuto molto velocemente tanti successi. Ne è derivato un periodo difficile da gestire dal punto di vista emotivo, perché non era abituato a certe pressioni. Il mio lavoro ha anche questo compito: cercare di aiutarlo a tenere comunque un certo equilibrio anche quando le cose non funzionano troppo bene. È un passaggio normale, che col tempo diventerà sempre più facile. Io sto cercando di aiutarlo ad accelerare il processo. Deve continuare a crescere e fare esperienza”. Secondo Ferrero, in questo senso è stata molto importante la partecipazione alle ATP Finals, dove il suo assistito ha perso un altro dei famosi match “da vincere”, arrendendosi a Jack Sock nello spareggio per la semifinale. “Credo – ha aggiunto – che si possa parlare di un prima e un dopo Londra. L’esperienza al Masters sarà molto formativa. Un passaggio fondamentale nella sua carriera sarà quello di imparare a saper gestire se stesso, il suo tennis e il suo corpo in eventi di questo livello, ai quali partecipano solamente i migliori giocatori del mondo”. Di certo, a quanto pare al tedesco non manca la voglia di lavorare. “È uno che sta sempre in campo almeno 4-5 ore al giorno, e vuole che tutto sia sempre fatto al meglio. È un perfezionista. Mi è capitato di doverlo fermare, spiegandogli di non esagerare perché il giorno dopo sarebbe dovuto tornare in campo. Mi ha sorpreso la sua capacità di sacrificarsi, una qualità che non sempre si trova nei giovani di oggi”. E che potrebbe diventare la chiave per salire al numero uno del mondo. “Credo che sarà decisivo il prossimo anno. Se riuscirà a giocare bene nei tornei del Grande Slam, potrebbe avere una chance. Ma non c’è fretta: andrebbe bene anche nel 2019”.
FERRERO RE DEL CHAMPIONS TOUR
Da coach, Ferrero è un bel personaggio: non si nasconde, gli piace parlare e confrontarsi, e non ha paura a dire la sua. Nemmeno su un argomento spinoso come l’indipendenza della Catalogna, sul quale, per esempio, Rafael Nadal ha preferito non prendere posizione, per non scontentare nessuno. “Credo – ha detto Ferrero – che non ci debba essere alcun tipo di separazione. Pur rispettando l’opinione e la posizione dei catalani, penso che in Spagna non debbano esserci individualismi. Le persone quando stanno insieme sono sempre più forti”. Ferrero ne ha parlato proprio da Londra, ma non all’O2 Arena dove era presente in versione coach, bensì alla Royal Albert Hall, dove a due settimane dal Masters ATP è tornato in città in versione giocatore per il Master del Champions Tour, il mini-circuito coi campioni del passato. Lo spagnolo si era qualificato vincendo a marzo la tappa di Stoccolma, e nello storico evento finale ha battuto prima Mark Philippoussis, poi il campione in carica Fabrice Santoro e quindi in finale il coetaneo Marat Safin, mostrando una condizione fisica ancora eccellente e un tennis ancora competitivo. Il 37enne valenciano si è imposto per 6-3 6-4, con un break a metà di entrambi i set. “La vittoria – ha detto – non è il nostro obiettivo principale, ma comunque è stato un bel match. Sia io sia Marat siamo ancora in ottime condizioni, e mi sono divertito molto. Ormai per noi conta quello: divertirsi e provare a offrire un buono spettacolo al pubblico. Qui è stata una settimana meravigliosa, in cui tutto ha funzionato alla perfezione”. Un po’ come il suo esordio da supercoach. Anche se il bello inizia solamente ora.
© RIPRODUZIONE RISERVATA