Il tennista che cita Baudelaire e legge Wilde

Prima apparizione al Roland Garros per Corentin Moutet, grande speranza del tennis francese. È un tipo ribelle, insofferente all'autorità altrui, ma con interessi particolari per un ragazzo così giovane: musica, letteratura, poesia. Gli piace parlare “delle cose della vita”. Esordirà contro Karlovic, 20 anni più anziano e 36 centimetri più alto.

Inizia il Roland Garros, ma la Francia rischia di essere poco più che comprimaria. L'assenza di Tsonga e il cattivo stato di forma di Monfils e Pouille scoraggiano l'ambiente. Sarà dura mettere fine a un'astinenza Slam che - tra gli uomini - dura da 35 anni. Però c'è una speranza, un raggio di luce di cui va ancora scoperta l'intensità. Per la prima volta, Corentin Moutet giocherà nel tabellone principale. Non è ancora troppo famoso, visto che su Twitter conta 2.373 followers. Eppure, è già in grado di offrire chicche importanti. Per esempio, ha citato Charles Baudelaire: “Non sono completamente insoddisfatto di me stesso” ha scritto lunedì scorso il parigino, ragazzo atipico, sensibile, sempre in battaglia, con se stesso e con gli altri. I suoi coetanei parlano di aspirazioni, sogni, obiettivi, traguardi. Lui no: “Io volevo soltanto diventare un professionista – ha raccontato in un'intervista a Le Figaroè successo tutto in modo naturale, anche se ovviamente c'è stato del lavoro. Ma non avrei mai pensato di fare un lavoro d'ufficio. Mi piace la libertà, non mi piacciono i vincoli. Il tennis fa bene: ci sono dei limiti, ma sono io a impormeli”. Corentin è un ribelle, non ama l'autorità o chi si pone nel modo sbagliato nei suoi confronti. Un'indole che spiega il rapporto conflittuale con alcuni dei suoi ex allenatori. Per esempio, Thierry Tulasne: “Con lui non avevo la sensazione di essere forte. Mi diceva continuamente che mancavo di rispetto, che non mi ero allenato abbastanza. Ho perso fiducia. Giocavo male sul campo e non avevo più piacere nenache fuori. Detto questo, non aveva né torto, né ragione”.

WORK IN PROGRESS
In questo momento, si fa seguire da Laurent Raymond e domenica (terzo match sul Campo 7) avrà un impegno curioso, se non altro per l'impatto visivo: i suoi 175 centimetri si scontreranno con i 211 di Ivo Karlovic, vent'anni più anziano di lui. Tempo fa, Dudi Sela era salito su una sedia per stringere la mano al croato. Il divario di Moutet, in termini di centimetri, è più o meno lo stesso. Parigi non gli porta troppa fortuna: l'anno scorso ha perso al secondo turno del torneo junior, mentre era andata molto meglio in Australia (semifinale) e a Wimbledon (vittoria). A gennaio ha fatto il suo esordio negli Slam “veri”, perdendo da Andreas Seppi e Melbourne. A parte qualche bizza comportamentale, la crescita procede discretamente. Ma Moutet è un eterno insoddisfatto. Spacca racchette, mostra i nervi, esplode nella frustrazione. La stampa francese spera che possa avere un'evoluzione simile a quella di Roger Federer: prima di diventare Mr. Perfect, lo svizzero era un ribelle. “Devo migliorare me stesso – dice Moutet – devo progredire in tutto quello che faccio, nel tennis ma non solo. Non mi piace stagnare. Non mi piace perdere”. Parlando di sé, dice che il suo punto forte è la capacità di adattarsi agli avversari. “Mi piace creare, far succedere qualcosa. Non mi diverte buttare la palla dall'altra parte. Amo fare spettacolo”. Lo show è iniziato tanti anni fa, sui sacri campi del Tennis Club de Paris, uno dei circoli più in vista della capitale. Il padre lo portava a giocare al mercoledì e nel weekend. Faceva parte di un gruppo numeroso, 7 bambini. Ma ben presto si è capito chi era il più forte. Però il tennis non è l'unica fissazione del genietto parigino. Gli piace parlare “delle cose della vita” e ammette di amare più “quello che mi dà il tennis che il tennis in sé. Mi piace giocare, ma mi diverto molto a fare cose fuori dal tennis”.

LIBRI IN VALIGIA
È un tipo interessante, Moutet: bisogna trovare il modo per acquistare la sua fiducia, ma poi si può parlare di musica (ama il cantautore "maledetto" Bertrand Cantat), di pianoforte (ha imparato a suonarlo due anni fa, mentre recuperava da un infortunio alla caviglia) e persino di letteratura. Ama Victor Hugo, ha letto Oscar Wilde, Albert Camus e ha sempre 1-2 libri in valigia. Il talento tennistico, tuttavia, li ha impedito di fare un accettabile percorso di studi. Come tanti atleti, ha studiato a distanza. Non poteva essere altrimenti, visto che è stato campione nazionale sin dall'età di 12 anni, “nome buono” per garantire la continuità ai "Quattro Moschettieri” che ormai hanno superato la trentina (Tsonga, Monfils, Gasquet e Simon). “Non avverto la pressione dell'eredità – dice – è molto difficile prendere il posto della generazione attuale. La gente non aspetta me in particolare, ma aspetta semplicemente che arrivi qualcuno. Se sarò io? Non voglio guardare troppo al futuro, non so dove sarò tra 10 anni. E i desideri cambiano molto rapidamente”. La sua aspirazione, il suo sogno, è vivere quella grande emozione “Quando ottieni il punto che ti fa vincere un torneo del Grande Slam. La Coppa, tutto sommato, non mi interessa”. Chissà se dovesse cambiare idea, se un bel giorno dovesse trovarsi la Coppa dei Moschettieri tra le mani.

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