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Redazione
25 July 2017

30 anni fa, Il telefono rotto di Peter Doohan

Una brutta malattia ha portato via, ad appena 56 anni di età, l'australiano Peter Doohan. Ex n.43 ATP, è ricordato per aver battuto Boris Becker a Wimbledon 1987. Fu la prima sconfitta del tedesco sui prati londinesi. Un mese fa, Doohan ha scritto una bella lettera in cui raccontava alcuni retroscena di quella vittoria.

Una malattia aggressiva e infame lo ha portato via ad appena 56 anni di età. Peter Doohan non è stato un campionissimo, eppure ha avuto il suo momento di gloria nel torneo più importante. Era il 1 luglio 1987 quando batté Boris Becker sul Campo 1 di Wimbledon. Il tedesco veniva da due titoli consecutivi ed era favorito anche quell'anno. Il destino, tuttavia, aveva deciso che nel 1987 doveva vincere un australiano. E fu proprio un “aussie” a spalancare la strada a Pat Cash. “Cosa sono queste facce? Guardate che non è mica morto nessuno” disse Becker in conferenza stampa, dopo la sconfitta. 30 anni dopo, una forma particolarmente aggressiva di malattia al motoneurone neuronale ha portato via Doohan in appena nove settimane. A parte il successo su Becker, ha avuto una carriera più che onesta, con best ranking al numero 43 ATP (15 in doppio). Dopo il ritiro si è dedicato all'insegnamento, negli Stati Uniti, salvo poi tornare a Newcastle, nel Nuovo Galles del Sud, nel 2009. Un personaggio tranquillo, quasi schivo, consapevole di non essere al livello di tanti connazionali. Per ricordarlo, abbiamo scelto di pubblicare una lettera scritta di suo pugno appena un mese fa, quando la malattia gli era già stata diagnosticata. Il Newcastle Herald gli aveva chiesto i suoi ricordi di quella che è considerata “una delle più grandi sorprese nella storia di Wimbledon”. Lui rispose così.

Tra quindici giorni saranno passati trent'anni dalla più grande sorpresa nella storia di Wimbledon. Venerdì 1 luglio 1987 ho battuto Boris Becker. Ho rischiato di non arrivarci, a quella partita, perché al primo turno avevo rischiato di perdere contro il possente austriaco Alex Antonitsch. Fummo bloccati sul punteggio di due set pari in quel primo lunedì di gara. Erano le 9 di sera ed eravamo l'ultimo match in campo. Mi trovavo in vantaggio 8-7 nel quinto: al cambio campo, il referee è sceso in campo e ha detto: “Ragazzi, si sta facendo buio ma dobbiamo sospendere su un numero pari di game. Per questo, Alex andrà a servire e poi sospendiamo”. Ho accumulato tutta l'energia fisica ed emotiva che potevo avere il quel momento, con un incentivo psicologico: se avessi vinto quel game sarei andato a casa potendomi rilassare, senza la preoccupazione di scendere di nuovo in campo il giorno dopo. Per fortuna, ho giocato un game brillante e gli ho strappato il servizio. Vinsi 9-7 al quinto. Poi ha piovuto per tre giorni, ma dubito che Boris fosse preoccupato dal secondo turno contro di me. Non solo perché avevo faticato molto al primo turno, ma anche perché mi aveva battuto un paio di settimane prima, al torneo di preparazione del Queen's Club. Infatti, avevo prenotato in via provvisoria un volo per il ritorno a casa, fissandolo un paio di giorni dopo il match contro Becker. Fu divertente un episodio: qualcuno si era accorto che c'era un telefono rotto dall'altra parte di Wimbledon, così potevo telefonare ogni giorno alla mia fidanzata Angie Harper, che si trovava a Little Rock, Arkansas. Mettevo una moneta da 10 centesimi sul telefono, poi lui si bloccava e potevo parlare quanto volevo per una telefonata intercontinentale.

Ma torniamo al tennis e a quello che ho dovuto fare per battere Boris Becker, l'uomo che non aveva mai perso a Wimbledon e si era aggiudicato il torneo nel 1985 e nel 1986. Osservando il nostro match al Queen's, il mio allenatore Michael Fancutt aveva notato una tendenza nel gioco di Becker: la sua volèe di rovescio era sempre indirizzata verso il mio lato sinistro. Per questo, Michael mi disse di fargli giocare sempre la volèe di rovescio e poi correre da quella parte. Nello stesso periodo, feci una telefonata al mio coach ad Adamstown, Frank Brent, per avere un suo consiglio su come affrontare Boris Becker. Mi disse di tenere la palla bassa tutte le volte che lui si presentava a rete, ancora meglio se gliel'avessi messa sui piedi. Non c'è dubbio che entrambe le tattiche abbiano funzionato. Durante la partita, fui in grado di brekkarlo per tre volte. Inoltre ho servito bene: lui mi fece solo un break e così portai a casa la mia famosa vittoria. Due giorni dopo, nel match di terzo turno, ero ancora stanco per le emozioni provate contro Becker ed ebbi grandi difficoltà contro l'americano Leif Shiraf. Persi i primi due set e dovetti annullare un matchpoint nel terzo. In qualche modo ho tenuto viva la partita e ho goduto del sostegno della gente per “l'underdog” australiano, tornando dunque in gara. Dopo quattro ore e mezzo di gioco ho raccolto un'altra vittoria, stavolta 12-10 al quinto. Il giorno dopo, negli ottavi, trovai il possente jugoslavo “Bobo” Zivojnovic, compagno di doppio di Becker. Io ero molto stanco, lui invece era forte e fresco. Mi ha battuto in tre set. Dopo la vittoria su Becker, in quel venerdì, non ho più potuto usare il telefono rotto che avevo scoperto qualche giorno prima. C'era una moltitudine di persone che mi aspettava. In molti si accamparono fuori dallo spogliatoio e avevo bisogno della scorta per spostarmi da un luogo all'altro. Non potevo certo chiedere alla sicurezza di scortarmi verso un telefono rotto e farli aspettare mentre facevo una telefonata illegale. La conclusione di questa storia è che ho aperto la strada alla vittoria di un australiano, il mio compagno di Coppa Davis Pat Cash. Fu fantastico, perché dopo la vittoria di John Newcombe nel 1972 abbiamo avuto soltanto due australiani vincenti a Wimbledon: Pat Cash e Lleyton Hewitt. Senza il suo avversario più pericoloso in gara, per Pat fu tutto molto più facile. La tesi fu confermata dal fatto che, l'anno dopo, Cash e Becker si sono affrontati nei quarti di finale e vinse Becker in tre set.

Peter Doohan

Ps. La cosa che mi rese più orgoglioso di quel successo fu il telegramma ricevuto dal Primo Ministro Bob Hawke, ancora oggi incorniciato e custodito nella casa di mia madre.

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