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Tomic, 24 anni e zero stimoli

Bernard Tomic ne combina un'altra delle sue: a Wimbledon perde in tre set contro Mischa Zverev, senza la minima voglia di impegnarsi, e in conferenza stampa parla (con onestà) di totale assenza di motivazioni. "Giocare bene e vincere non mi soddisfa più: non mi importa se vado avanti in uno Slam o perdo al primo turno". Un problema che parte da lontano.
Almeno una volta all’anno Bernard Tomic qualcosa deve combinare. Era passato fin troppo tempo dall’ultima volta, la famosa risposta col manico contro Fabio Fognini a Madrid nel 2016, seguita da un ragionamento secondo il quale, visto quanto ha guadagnato malgrado la giovane età, il bad boy australiano potesse fregarsene di certi comportamenti. Gli stessi ingredienti, miscelati in maniera diversa, hanno composto l’ultimo cocktail griffato “Bernie”, che fa ancora più rumore perché servito agli spettatori sui sacri campi di Wimbledon, dove le tradizioni impongono (o imporrebbero) un atteggiamento ancora più attento che altrove. Sulla stessa erba che ormai sei anni fa gli regalò il primo e unico quarto di finale Slam ad appena 18 anni, il tennista di Gold Coast ha lasciato facilmente strada a Mischa Zverev, arrendendosi per 6-4 6-3 6-4 senza un minimo di lotta, con un body language più moscio che mai, come se non gli importasse nulla dell’andamento del duello. Un atteggiamento talmente disinteressato da indurre il tedesco a pensare che avesse qualche problema di natura fisica (“sicuramente lui non era al 100%, in certi momenti si vedevano chiaramente delle difficoltà”, ha poi detto Mischa), mentre in realtà Tomic stava benissimo. Semplicemente, si è svegliato col piede sbagliato e con pochissima voglia di giocare a tennis, e il medico in campo l’ha chiamato soltanto per provare a spezzare il ritmo, come avrebbe ammesso più tardi in conferenza stampa, mostrando che almeno non gli manca la sincerità. “Il dottore è stata una strategia – ha detto –, ho provato a far qualcosa per rallentare un po’ il match che stava andando molto velocemente. Non mi sentivo bene in campo, e stavo giocando male. Non sono riuscito a trovare il ritmo e fisicamente e mentalmente non ero pronto per giocare. Se devo essere onesto, in campo mi sono un po’ annoiato”.
QUESTIONE (ANCHE) DI SOLDI
Quello di Tomic è un problema che parte da lontano, da un infanzia vissuta da predestinato: a 15 anni era numero uno al mondo under 18, con mille pressioni, un padre padrone che ne ha combinate di tutti i colori e l’Australia intera pronta a puntargli il dito contro alla prima parola fuori posto. Il suo carattere fumantino non l'ha aiutato, e il risultato, al di là di un rendimento al di sotto delle sue possibilità (che in questo caso c’entra molto poco), è un giocatore che perde spesso e volentieri le motivazioni e anche la retta via, non solo sui campi da tennis. “Sono entrato nel circuito a 16 anni – ha continuato – e anche se ne ho 24 mi sento vecchissimo. Questo è già il mio ottavo Wimbledon, e anche se è uno dei tornei più importanti del mondo, durante il match non ho trovato alcuno stimolo per lottare”. Quello che sorprende, in un tennis che al microfono è sempre più finto e costruito su frasi fatte, è la naturalezza e la sincerità con cui Tomic racconta la verità, incurante della reazione del pubblico. Come se ne avesse sentite talmente tante da aver imparato a non ascoltare più nulla. “Qualche titolo l’ho vinto, e ho anche giocato più di una finale, ma giocare bene e vincere non mi soddisfa più. Non mi importa se vado avanti in uno Slam o perdo al primo turno”. In sintesi, e l’ha ribadito anche stavolta (come prima di lui il connazionale Nick Kyrgios), il suo unico obiettivo è raccogliere soldi a sufficienza per potersi permettere di non lavorare più una volta abbandonato il tennis. E pazienza se il suo talento, con un tantino di impegno in più, potrebbe fargli incassare cifre molto molto maggiori. Ha capito che il suo milione all’anno lo guadagna comunque, ed evidentemente gli va bene così. Giusto o sbagliato che sia.
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