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Marco Caldara
04 December 2016

Il segreto del Raonic 2.0? Incredibile ma vero: la risposta

Il 2016 è stata una grande stagione per Milos Raonic: nonostante qualche infortunio di troppo ha chiuso da numero 3, oltre 10 posti più su dell'anno precedente, e con in tasca una finale a Wimbledon. Eppure, i numeri dicono che al servizio è peggiorato. Ma è cresciuto tantissimo in ribattuta.
Quando, a metà 2013, Ivan Ljubicic è diventato coach di Milos Raonic, aveva sorpreso una sua frase. Mentre l’idea altrui era che il suo nuovo assistito dovesse lavorare principalmente sui colpi di rimbalzo, lasciando da parte il servizio già devastante, la sua era più o meno l’opposto: concentrarsi ancora di più sulla battuta, per renderla veramente una macchina da guerra. Difficile dire se avesse ragione, visto che gli è stato a fianco solamente un anno e mezzo nel quale hanno dovuto fare i conti con vari problemi di natura fisica, anche se uno studio pubblicato dal sito ATP sembrerebbe dargli torto. Malgrado qualche infortunio di troppo nei momenti meno opportuni – durante la semifinale a Melbourne e la finale a Indian Wells, prima delle semifinali di Pechino e Parigi Bercy – nel 2016 il canadese ha disputato la miglior stagione della sua carriera, chiudendola col best ranking di numero 3. Ha conquistato un solo titolo, nella prima settimana dell’anno a Brisbane, ma ha vinto oltre 50 incontri, e soprattutto è arrivato in finale sull’erba di Wimbledon, sfiorando lo stesso risultato alle ATP Finals. Il tutto, udite udite, con un rendimento al servizio decisamente inferiore (sì, inferiore) rispetto ai dodici mesi precedenti. Nel corso dell’anno il 26enne originario del Montenegro ha subìto oltre il doppio dei break rispetto alla stagione precedente, e il fatto che abbia giocato venti incontri in più incide fino a un certo punto. Basta una semplice proporzione: se nel 2015 ha perso la battuta 39 volte in 49 incontri, nei 69 del 2016 il totale avrebbe dovuto assestarsi intorno al 54. Invece è di ben 86 break. Eppure, Milos è passato dal numero 14 di gennaio al numero 3 di novembre, mostrando progressi importanti a tutto campo. Risultato reso possibile da una crescita notevole nei turni di risposta.
SERVIZIO – I numeri parlano chiaro: al di là del totale di doppi falli, che dipende esclusivamente dai venti match disputati in più (+56 in 20 incontri, media di meno tre a partita), Raonic è peggiorato dappertutto tranne nella percentuale di prime in campo, rimasta invariata al 64%. Per il resto non c’è alcun saldo positivo. Ha vinto meno punti con la prima, meno punti con la seconda, meno game di servizio, meno punti totali al servizio (alla settima riga della tabella pubblicata dall’ATP c’è un refuso: si tratta dei punti, non dei giochi), e poi ancora meno turni di battuta con le palle nuove e meno game di servizio complicati, nei quali si è trovato sotto per 0/30 o 30/40. Per un giocatore che agli occhi degli appassionati basa il suo tennis esclusivamente sul servizio, questi dati sarebbero sinonimo di una stagione in tutto e per tutto peggiore della precedente. Invece è andata esattamente al contrario.
RISPOSTA – Il motivo, come accennato, sta in una crescita impressionante nei game di risposta. C’è dietro un lavoro evidente, sotto più aspetti. Dalla ribattuta in sé, alla maggiore attenzione ai game di risposta, ma anche un rovescio sempre più efficace e la scelta di spingere di più nei primi punti degli scambi. Un nuovo approccio che ha dato risultati al di sopra delle aspettative, fino all’incredibile statistica comparsa dopo il suo ultimo match dell’anno, la semifinale persa 5-7 7-6 7-6 contro il numero uno del mondo Andy Murray alle ATP World Tour Finals. Il bilancio del match mostrava un numero difficile da immaginare: la maggior parte dei punti durati più di 9 colpi se li è aggiudicati lui, 16 contro 14. Contro Murray! In generale, il dato più importante dell’anno riguarda la capacità del canadese di strappare la battuta agli avversari. Nel 2015 ce l’ha fatta 77 volte in 629 game di risposta, con la media di un break ogni 8.2 giochi. Quest’anno, invece, l’ha ridotta a 5.5, ottenendo 164 break in 893 turni col rivale al servizio. Un passo avanti veramente notevole, che trova conferma in una tabella infarcita di segni “+”. Rispetto a prima, il Raonic 2.0 vince più punti in risposta alla prima e alla seconda (è prossimo al 50%, un punto su due), più game, trasforma più palle break e – altro dato interessante – è passato da 6% al 14% nei game di risposta vinti appena dopo aver perso la battuta. Ultimo, a conferma del fatto che in generale dedichi molta più attenzione ai turni di risposta, sono salite tantissimo le percentuali dei giochi vinti da situazioni di vantaggio. Nel 2015 quando saliva 0/30 in risposta riusciva a ottenere il break una volta su sei, quest’anno due volte su cinque. In sintesi, in un tennis in cui la risposta è sempre più importante – come attestato dal dominio dei due più grandi ribattitori del tour: Andy Murray e Novak Djokovic – Raonic è stato disposto a sacrificare leggermente il suo colpo migliore pur di crescere in ribattuta e stare al passo coi tempi. Una scelta che ha pagato. E pagherà ancora.
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