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Il ritorno al passato di Taylor Townsend

A quasi 21 anni, l'americana si sta ritrovando dopo essere tornata a lavorare con Donald Young Sr, colui che aveva forgiato il suo stile aggressivo. Il terzo turno a Miami l'ha riportata intorno al numero 100 WTA. “E mi sono liberata da persone e sensazioni negative”. Young: “Le ho detto cosa deve fare: ora sta a lei”.

A quasi 21 anni, la vita di Taylor Townsend è totalmente cambiata. Sono lontani i tempi in cui vinceva gli Slam junior con tre anni di anticipo e piombava al numero 1 della classifica giovanile. Ma vincere tra le ragazzine, si sa, non garantisce di riuscirci anche tra le donne. Le sue avversarie dell'epoca si chiamavano Belinda Bencic e Yulia Putintseva: sia pure con strade e percorsi diversi, entrambe hanno ottenuto buoni risultati (n.7 WTA la svizzera, 27 la kazaka). Da parte sua, la Townsend è entrata a malapena tra le top-100 e la sua ultima classifica la vede al numero 111. “Nel tennis funziona così: se fai il professionista per 3-4 anni e non raggiungi determinati obiettivi, sei considerato vecchio e superato” dice Taylor, reduce da un buon torneo a Miami. Ha passato le qualificazioni, si è tolta lo sfizio di battere Roberta Vinci e poi ha fatto una discreta figura contro la Kuznetsova. Con questo risultato, tornerà intorno al numero 100. “Certe cose le ho sentite all'infinito, ormai non ci penso più. Adesso mi prendo ogni partita, ogni esperienza, con i suoi alti e bassi. A 25 anni il tennis ti fa sentire vecchia, ma non è così”. Oltre a quello di promessa mancata, la Townsend deve combattere con un'altra etichetta: tennista senza fisico da atleta. Si porta dietro un vistoso sovrappeso sin da ragazzina, da quando spadroneggiava tra le coetanee. Prima dello Us Open 2012, le dissero che non le avrebbero dato nessuna wild card (neanche per le qualificazioni), nonostante fosse la migliore giovane del paese. All'epoca, il responsabile del programma di sviluppo USTA era Patrick McEnroe. Disse che la ragazza aveva problemi di anemia, ma poi riconobbe che Taylor era sovrappeso e, secondo i tecnici, non si impegnava a sufficienza. La faccenda ebbe una certa risonanza: Taylor e mamma Sheila pagarono di tasca propria il viaggio a New York per giocare almeno il torneo junior (dove perse nei quarti). “Non pensavo di essere sovrappeso, pensavo di poter giocare. Ho gestito la situazione nel miglior modo possibile”. Sembra acqua passata, ma il ricordo di quell'episodio la segnerà a vita.

VIA PERSONE E PENSIERI NEGATIVI
Si è allontanata dalle strutture federali e ha trovato ospitalità, per un periodo, alla corte di Zina Garrison. L'ex finalista di Wimbledon aveva avuto problemi simili e l'ha seguita in giro per i tornei ITF, gli unici che la classifica le consentiva di giocare. In un paio di occasioni, Taylor ha acciuffato una wild card per il Roland Garros. Non è durata molto: qualche tempo fa è tornata a lavorare con Donald Young Sr., padre del numero 51 ATP, che aveva sviluppato il suo stile offensivo, innamorato del serve and volley. Il signor Young è consapevole che c'è ancora molto lavoro da fare. “Aveva perso tutto. Ho dovuto ricordarle come era abituata a giocare, l'ho riportata a esprimere il gioco che utilizzava da bambina”. Per seguire il nuovo percorso, Taylor si è nuovamente spostata ad Atlanta, dove ha preso una casa tutta per sé. Per ora le cose vanno bene, tenendo conto che era scivolata al numero 300 WTA, insufficiente anche solo per i tornei da 25.000 dollari. Lo scorso aprile arrivò a giocare contro una donna di 69 anni, Gail Falkenberg, al torneo di Felham. “In un certo senso, aveva bisogno che questo accadesse” ha detto Young, che peraltro è stato molto chiaro ulla questione del peso e degli allenamenti in palestra. “Ma non ho intenzione di fare a pugni con lei. Sa bene quello che deve fare”. Il periodo difficile ha fatto capire a Taylor quali sono le persone di cui può fidarsi. In passato c'è chi ha approfittato di lei e della sua crescente popolarità. “Ho eliminato un po' di persone dalla mia vita tennistica e personale. Ho fatto pulizia, portando le cose negative fuori dalla mia vita. Non avevo mai capito quanto certe cose potessero influire nel rendimento sul campo”. Anche per questo, non ha pianificato obiettivi particolari, nemmeno a lungo termine. “Ogni giorno ho i miei traguardi da raggiungere – racconta – come l'atteggiamento, l'aspetto mentale e la capacità di restare positiva. Puoi allenarti nel migliore modo possibile, ma non è facile trasferire in partita tutti gli aspetti positivi. Ci sono momenti in cui va tutto bene e altri in cui emergono vecchie scorie. Ma fa parte del gioco e bisogna lottare. Adesso sto bene, sono felice e ho buone persone accanto a me. Non devo dimostrare niente a nessuno, a parte me stessa. Nessuno mi mette pressione e non mi crea aspettative. E' una bella sensazione”.

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