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Riccardo Bisti
07 February 2018

Il Principe di Quito vuole giocare fino a 40 anni

L'incredibile avventura di Victor Estrella Burgos: tennista part-time senza soldi, signor nessuno fino a 33 anni, una volta artigliati i top-100 non li ha più mollati e ha vinto per tre volte di fila il torneo di Quito. In Ecuador ha raccolto un terzo delle sue vittorie nel circuito ATP. Quest'anno punta al poker, ma vuole di più: “Punto a restare top-100 fino a 40 anni!”.

Alessandro Giannessi è impegnato al torneo ATP di Quito. Da lucky loser, esordirà oggi contro Peter Polansky. Anni fa, scrivendo per noi, lo spezzino disse di avere un punto di riferimento, un esempio. Parlava di Victor Estrella Burgos, classe 1980, numero 86 ATP. Vincitore a Quito nel 2015, nel 2016 e nel 2017, il dominicano ha iniziato nel migliore dei modi anche quest'anno: ha battuto in rimonta Thomaz Bellucci, al rientro dopo la sospensione per doping. Victor rischia grosso: non dovesse ottenere un buon risultato, rischia di piombare fuori dai top-100 ATP. “Ma no, la classifica non è una preoccupazione – ha detto nei giorni scorsi a Tennis Magazinepenso soltanto a giocare un buon tennis. L'unica cosa da fare è prendere un match alla volta. Ogni partita è una storia a sé”. Vero, ma il suo palmares al Club Jacarandà è incredibile: 16 vittorie e 0 sconfitte, peraltro con tre finali molto combattute, l'ultima contro Paolo Lorenzi. Un dato ancora più sorprendente se prendiamo in considerazione il resto della sua carriera: Quito a parte, nel circuito maggiore ha vinto appena 29 match su 88. Grazie a questo torneo, staziona più o meno regolarmente tra i top-100 ATP dal 2015. Senza i 250 punti-ossigeno di Quito, avrebbe sempre chiuso la stagione con un ranking a tre cifre. Il caso Estrella-Quito non ha eguali: il diretto interessato fatica a spiegarne la ragione. Semplicemente, dice che a Quito avverte un vivo senso di tranquillità e sicurezza. “Per me è un torneo speciale, mi trovo bene e ci vado con grande anticipo per prepararmi a dovere. Ci sono stati momenti in cui ho avuto la sensazione di non poter perdere, ma so che devo restare sempre concentrato e dare il 100%. Ho già vinto tre volte e quest'anno mi presento per fare il poker”.

L'AUGURIO DI RAFA NADAL
Poche settimane fa, il dominicano ha coronato il sogno di giocare contro Rafael Nadal in un torneo del Grande Slam. È capitato in Australia, dove ha incassato un triplice 6-1 nonostante abbia avuto la sensazione di giocare bene. “Lui è incredibile, non regala nulla. Mi sono dovuto conquistare ogni singolo punto”. Al momento di stringergli la mano, gli ha detto: “Rafa, ringrazio Dio per aver giocato contro di te. Era uno dei miei sogni, adesso posso anche ritirarmi”. Lo spagnolo ha replicato. “No, no, no, Victor. Devi andare a Quito e vincere ancora una volta. Devi continuare a giocare”. Frase di circostanza, ma se a pronunciarla è un campione come Rafa Nadal ha sempre un valore. Per questo, Estrella Burgos ne è rimasto colpito. “Nadal è una bella persona, la sua frase mi ha dato una grande motivazione”. E allora è risalito lassù, nel torneo più “alto” del circuito (l'unico così in altura dopo la cancellazione di Bogotà), dove l'anno scorso ha messo in fila un paio di miracoli: tre matchpoint annullati a Karlovic negli ottavi, uno a Paolo Lorenzi in finale. “È stato speciale. Contro Karlovic, ho trasformato il mio matchpoint quando lui era al servizio. È stato incredibile. Il matchpoint contro Lorenzi? Ho tirato un dritto incrociato, uno anomalo e l'ho seguito a rete. Per fortuna lui ha sbagliato”. In Repubblica Dominicana, il tennis è uno sport secondario. Per anni ha intervallato l'attività agonistica con le lezioni private, da cui recuperava le risorse da investire nel tour. La federtennis lo ignorava, mentre lo sport nazionale era (e continua ad essere) il baseball. Anche lui ha impugnato mazza e pallina. “Ogni ragazzo dominicano gioca a baseball, così l'ho fatto anch'io. Colpivo bene la palla e correvo veloce. Però avevo circa 14 anni quando ho smesso con il baseball e mi sono dedicato al tennis. Il tennis mi è entrato nel cuore. Anche se mi chiedevano di giocare a baseball, io ho scelto il tennis. Se avessi continuato a lavorare duro, credo che sarei diventato un professionista anche nel baseball. Avevo un buon occhio ed ero molto rapido, quindi, perché no? Però i miei sogni erano altrove”. Per realizzarli c'è voluto un solido mix tra pazienza e feroce forza di volontà. Motivo? Le enormi difficoltà economiche. “Ho iniziato a giocare tardi perché non avevo esempi da seguire in Repubblica Dominicana. Sono stato io ad aprire le porte del tennis professionistico nel mio paese, ma non avevo soldi. Il denaro è stato il mio principale problema. Dai 18 fino ai 26 anni d'età, ho giocato circa sei tornei all'anno. È la ragione per cui non mi ero costruito un buon ranking. Non avevo un calendario da seguire, non avevo un allenatore, non avevo un preparatore atletico. Insomma, ero da solo e senza un team”.

NULLA È IMPOSSIBILE
Il primo punto è arrivato nel 2002, dopo quattro anni di tentativi. L'esordio nel circuito ATP è arrivato a 27 anni di età, poi l'ingresso tra i top-200 a 31. L'anno dopo ha vinto il suo primo match nel circuito, poi a 33 anni l'agognato ingresso tra i primi 100. Dopo aver penato così tanto, se lo è goduto fino in fondo. Sapeva che il capitale era troppo prezioso per essere disperso, dunque ha continuato a lavorare duro, facendosi trovare preparato all'appuntamento con i grandi tornei. E così è arrivato l'incredibile piazzamento tra i top-50, risultato clamoroso per un peso piuma come lui. La sua palla è leggerissima, il rovescio è una morbida soluzione in slice. In altre parole, ha un tennis pieno di lacune. “Avendo iniziato così tardi, passare cinque anni tra i top-100 è stata una gran cosa. Quando ci sono entrato per la prima volta, la gente si domandava per quanto tempo ci sarei rimasto. Io sono arrivato al numero 43, dimostrando che nulla è impossibile”. Lui e Diego Schwartzman sono i giocatori più bassi tra i primi cento. Adesso l'argentino è in gran forma, stabile addirittura tra i top-30. “Lo conosco abbastanza bene, a volte ci alleniamo insieme e l'ho affrontato un paio di volte nei tornei Challenger. È basso come me, ma è un gran combattente. Inoltre è uno sportivo. Può essere un esempio per tutti: io l'ho battuto, ma poi ha raggiunto traguardi migliori dei miei”. Quest'anno Estrella Burgos compirà 38 anni, ma non pensa al ritiro. Anzi, le sue parole profumano di battaglia: “Spero di restare su questi livelli per altri 3-4 anni. Per esempio, voglio chiudere il 2018 tra i primi 100. Compirò gli anni ad agosto ma mi sento in grande forma fisica. Anzi, mi sento meglio ogni anno. Per me tutto è possibile. Ho già raggiunto tutti i miei obiettivi, ma ne ho ancora un altro: giocare almeno fino a 40 anni. Se rimarrò tra i primi 100 a 40 anni, sarò molto felice”. Sarebbe una favola quasi irripetibile. Per tenerla viva, Victor dovrà arrivare indenne al prossimo weekend. Negli ottavi dell'Ecuador Open se la vedrà con il vincente di Melzer-Cecchinato (in campo mercoledì dopo la pioggia di martedì), in vista di un complicato quarto di finale contro Albert Ramos, reduce dai successi in Coppa Davis. Dura. Ma se anni fa Adidas aveva fatto centro con uno spot dallo slogan “Impossible is Nothing”, Victor Estrella Burgos lo ha portato nella realtà. E allora può continuare a sognare.

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