6. In Italia non c’è differenza tra maestro e coach ed è un bel problema. Tu maestro hai una scuola avviata che va bene e dà da mangiare alla tua famiglia. Ti esce un ragazzo promettente che a un certo punto va seguito personalmente. Cosa fai? Lasci la scuola? No di certo. Lasci il ragazzo? No, io l’ho formato, mi fa pubblicità. Ecco allora il compromesso, l’ibrido che rovina spesso tutto: fai entrambe le cose e questo non è accettabile. La vita del coach, quello vero, è dura: non hai feste, non hai orari, quasi non hai casa. Spesso, quando torni, hai giusto il tempo di chiamare tua moglie: “Pronto cara? Tutto bene? I bimbi? La scuola è ok? Dai loro un bacio e chiama per qualsiasi cosa. Torno appena posso”! E via al prossimo torneo. Come può fare questa vita il nostro maestro? Bisogna avere passione e, per fare il coach, davvero ci vuole la vocazione come per il sacerdozio!
7. E’ una realtà che quasi tutti i nostri migliori coach, per un motivo o per l’altro, non lavorano per la Federazione. Oggi, fortunatamente, si sta cercando di collaborare con le strutture private ma siamo anni luce lontano dalla Francia, per fare un esempio.
8. Programmi condivisi e contributi. Qui sono un po’ come Caino, nel senso che non condivido le idee di Sergio Palmieri, che è per me un fratello. È sicuramente più facile a dirsi che a farsi, ma bisogna fare delle scelte senza paura di sbagliare e selezionare veramente solo quelli su cui bisogna puntare, aiutarli e crederci fino in fondo sia che si allenino con la Federazione o in privato.
Poi i programmi: mettiamoci dei paletti. D’accordo le prequalificazioni a Roma eccetera, ma poi se il giocatore vuole andare in Cina o in Birmania sono affari suoi, deve solo conoscere il suo budget e sapere che quello ha e quello gli deve bastare. Occorre, a mio parere, controllare solo che i soldi siano spesi per il tennis. Penso anche che talvolta per qualche junior sia meglio saltare qualche Slam, specie Australia o Us Open e che non è un dramma se non siamo rappresentati o se mandiamo le seconde linee, l’importante è che il torneo serva al ragazzo non alla Federazione.
9. Ho citato, senza approfondire troppo 8 ragioni per cui oggi soffriamo; mi sono tenuto la principale per ultima perché in fondo è quella, secondo me, decisiva. I ragazzi e le ragazze italiane in genere lavorano e si allenano poco e comunque in maniera largamente insufficiente per ambire a fare il professionista. Un esempio: molti anni fa, Giorgio Errani, il papà di Sara, mi venne a trovare in ufficio a Milano. Sua figlia avrà avuto 12 o 13 anni. Giorgio sapeva che andavo da Bollettieri per l’Eddie Herr e mi chiese se potevo dare un’occhiata e parlare con Sara. Ebbene, in 10 giorni, sono riuscito a stento a presentarmi perché o stava giocando o faceva atletica o dormiva o studiava!
È così che si fa se si vuole provare a diventare giocatori e così che hanno fatto Fognini, Seppi, Bolelli, Volandri Pennetta, Schiavone, Vinci e che stanno facendo Donati, Quinzi e tanti altri.
L’unica via per diventare giocatori - scusatemi la volgarità - è farsi un culo così!
Altro esempio: al torneo di Correggio under 14 si presenta Belinda Bencic e il padre, fregandosene del torneo, che poi comunque Belinda vincerà, la fa allenare duramente prima e dopo le partite tra lo stupore di tutti. La mattina alle 6 era già lì a provare, a buttare palle e a faticare. Oggi la Bencic e tra le prime 10: dove sono le altre?
È così hanno fatto tutti i campioni che ho avuto la fortuna è l’onore di aver visto crescere, senza eccezioni. Quando vado ai tornei junior, che adoro, e vedo i nostri allenarsi venti minuti perché hanno la partita, mi viene da piangere perché non guardano avanti; se l’obiettivo è vincere Salsomaggiore (così non si offende nessuno vista la mia fraterna amicizia con gli organizzatori) allora è giusto riposarsi prima di ogni partita, se invece vuoi diventare forte, allenati duro, sempre, a prescindere dal fatto se vinci o perdi.
Dobbiamo, per me, avere l’obiettivo di diventare “giocatori” non di vincere i tornei junior, ma di migliorare attraverso di loro e, se si fa così, qualcuno magari lo si vince anche. Questo ho visto fare a tanti campioni e giocatori forti da Ivanisevic alla Seles dalla Hingis a Sampras da Agassi alla Graf alle Williams a Djokovic e via dicendo.
Molti criticano, spesso a ragione, Sergio Giorgi che sicuramente non è il miglior coach del mondo, però ha avuto una sola allieva e, assieme, hanno lavorato come pazzi e così Camila, bene o male, è stata top 30 e questo solo perché stava sempre in campo, fin da piccola. La maggior parte dei suoi critici non ha mai formato un “fantasma” di giocatore! E questi - ahimè - sono fatti.
In tutti gli sport, se vuoi eccellere, devi dedicartici completamente, col rischio anche che ti capiti quello che è successo allo sfortunato Tamberi che, però, è talmente serio e ha una tale cultura del lavoro che tornerà più forte che mai.
Concludo dicendo che prospetti di giocatori ne abbiamo, dobbiamo solo lavorare meglio e soprattutto molto di più e avere l’obiettivo di formare dei giocatori, non di vincere da under. Io ammiro molto ciò che ha fatto e sta facendo il nostro Presidente Angelo Binaghi (nella foto sopra) però adesso gli do una tiratina di orecchie, perché sono sicuro che, se prende veramente a cuore il settore tecnico, se ci investe sul serio tempo e denaro, se mette persone capaci a tempo pieno, qualcosa cambia. In fondo, caro Angelo, sei come Djokovic prima di vincere Parigi. Ti manca solo quello!