12 October 2016

I mali del nostro tennis

In una fase molto delicata per il nostro sport, in cui il ricambio ad alto livello sembra venir meno, il nostro columnist accende un faro su quelli che considera i principali problemi del sistema. Per fortuna giovani interessanti non mancano, si tratta solo di lavorare meglio, di più e con l’obiettivo di formare giocatori, senza lasciarsi frustrare dalla vittoria a tutti i costi nelle categorie juniores ... di FABIO DELLA VIDA

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di Fabio Della Vida - foto Ray Giubilo

 

Mi è stato chiesto un parere sul perché mancassero i ricambi e perché il nostro settore giovanile non sia al momento molto florido. Provo a essere breve e sarò sincero:

 

1. È vero, in questo momento facciamo fatica e abbiamo meno ricambi del solito, ma dare la colpa solo alla Federazione è esagerato e ingiusto, anche se devo dire che, a livello mediatico, la Federazione esagera a prendersi dei meriti e quindi fatalmente deve prendersi anche demeriti che non ha. Un esempio? Secondo me il centro federale di Tirrenia è “venduto” male. Sembra infatti che tutto si svolga lì e nei suoi satelliti (i centri regionali), invece andrebbe a mio parere “venduto” come un servizio a disposizione del giovane, come il cervello di un sistema le cui braccia possono essere ovunque, da Bolzano a Palermo. Andare a Tirrenia non deve essere un must, perché l’importante è sapere che la Federazione, attraverso Tirrenia, ti segue ovunque per aiutarti.

 

2. Non può essere colpa della Federazione se non esiste lo sport a scuola.

lo ho scritto e detto tante volte che questo è un autogol pazzesco, perché i maestri oggi devono fronteggiare bambini e soprattutto genitori che troppo spesso non hanno idea di cosa sia uno sport.

È vero. questa lacuna non riguarda solo lo sport del tennis, ma è comune a tutte le Federazioni e credo fermamente che da qui nascano gran parte dei problemi.

 

3. Troppa teoria. Mi spiace criticare la Federazione perché ha persone capaci, e molti sono anche miei amici, ma penso che si stia creando un sistema troppo teorico, e soprattutto un solo sistema, e questo, onestamente, non mi piace. Non dimentichiamoci che sono 32 anni (Barazzutti, 1978) che non abbiamo avuto un top 10 tra i maschi (anche se ci siamo andati vicino). Solo Grecia e Portogallo sono come noi e persino Cipro (Baghdatis) ne ha avuto uno. Ora, non credo che la federazione cipriota abbia fatto un progetto teorico per “produrlo”. Noi stiamo dimenticando troppo spesso di insegnare l’anima, il sacrificio, il cuore e la passione che sono il quid che fa il giocatore e che nessuno può chiudere in una teoria. 

Si parla solo di biomeccanica, materiali, nutrizionisti, mental trainer, programmi, tutto importante - per carità - ma senza anima non valgono niente.

Quello che scrive Michelangelo Dell’Edera è interessantissimo e ti insegna molto, ma deve essere un aiuto, non un dogma. Una scuola, o meglio un metodo, si crea con gli esempi, con la pratica, con l’etica, non solo con la teoria e non si può togliere o controllare quell’intuizione, quell’arte di arrangiarsi, quel genio che è una nostra caratteristica e che ha fatto la nostra storia, non solo sportiva. La palla è una variante troppo grossa anche per il più evoluto computer e se l’Italia, come Paese, va male è perché non abbiamo protetto l’artigianato, da secoli il nostro fiore all’occhiello. Non facciamo lo stesso errore col tennis.

 

4. Si sta perdendo l’aspetto ludico; i bimbi di 12 anni sono già troppo spesso piccoli professionisti con troppo occhio alla classifica e poco al miglioramento tecnico e al divertimento.

 

5. In Italia manca totalmente il reclutamento dei ragazzi in senso lato. Li si guarda solo ai tornei, mentre bisognerebbe conoscere meglio loro e le relative famiglie. Se, a detta di molti, sono stato bravo a reclutare tanti ragazzi e ragazze per la Img che sono diventati campioni o comunque giocatori di livello è perché sono sempre andato a casa loro, dall’Italia al Sud America all’Est Europa, in grandi città e in villaggi sconosciuti, perché solo fuori dal campo vedi chi vuole arrivare, solo andando a casa loro a vedere come vivono, chi sono i genitori, chi frequentano, riesci a capire se hanno chanche in campo. Se non fai così, vedi il 25%, il resto è dentro il ragazzo ed è lì che devi provare a vedere se ci sta quel “qualcosa” che lo differenzia dagli altri e l’ambiente che lo circonda è basilare per provare a capire. Noi questo non lo abbiamo mai fatto ed è un errore molto grave per me perché va aiutato chi veramente ci prova e devi saperlo possibilmente prima di investire su di lui o lei che sia.

 

Parte 2

6. In Italia non c’è differenza tra maestro e coach ed è un bel problema. Tu maestro hai una scuola avviata che va bene e dà da mangiare alla tua famiglia. Ti esce un ragazzo promettente che a un certo punto va seguito personalmente. Cosa fai? Lasci la scuola? No di certo. Lasci il ragazzo? No, io l’ho formato, mi fa pubblicità. Ecco allora il compromesso, l’ibrido che rovina spesso tutto: fai entrambe le cose e questo non è accettabile. La vita del coach, quello vero, è dura: non hai feste, non hai orari, quasi non hai casa. Spesso, quando torni, hai giusto il tempo di chiamare tua moglie: “Pronto cara? Tutto bene? I bimbi? La scuola è ok? Dai loro un bacio e chiama per qualsiasi cosa. Torno appena posso”! E via al prossimo torneo. Come può fare questa vita il nostro maestro? Bisogna avere passione e, per fare il coach, davvero ci vuole la vocazione come per il sacerdozio!

 

7. E’ una realtà che quasi tutti i nostri migliori coach, per un motivo o per l’altro, non lavorano per la Federazione. Oggi, fortunatamente, si sta cercando di collaborare con le strutture private ma siamo anni luce lontano dalla Francia, per fare un esempio.

 

8. Programmi condivisi e contributi. Qui sono un po’ come Caino, nel senso che non condivido le idee di Sergio Palmieri, che è per me un fratello. È sicuramente più facile a dirsi che a farsi, ma bisogna fare delle scelte senza paura di sbagliare e selezionare veramente solo quelli su cui bisogna puntare, aiutarli e crederci fino in fondo sia che si allenino con la Federazione o in privato.

Poi i programmi: mettiamoci dei paletti. D’accordo le prequalificazioni a Roma eccetera, ma poi se il giocatore vuole andare in Cina o in Birmania sono affari suoi, deve solo conoscere il suo budget e sapere che quello ha e quello gli deve bastare. Occorre, a mio parere, controllare solo che i soldi siano spesi per il tennis. Penso anche che talvolta per qualche junior sia meglio saltare qualche Slam, specie Australia o Us Open e che non è un dramma se non siamo rappresentati o se mandiamo le seconde linee, l’importante è che il torneo serva al ragazzo non alla Federazione.

 

9. Ho citato, senza approfondire troppo 8 ragioni per cui oggi soffriamo; mi sono tenuto la principale per ultima perché in fondo è quella, secondo me, decisiva. I ragazzi e le ragazze italiane in genere lavorano e si allenano poco e comunque in maniera largamente insufficiente per ambire a fare il professionista. Un esempio: molti anni fa, Giorgio Errani, il papà di Sara, mi venne a trovare in ufficio a Milano. Sua figlia avrà avuto 12 o 13 anni. Giorgio sapeva che andavo da Bollettieri per l’Eddie Herr e mi chiese se potevo dare un’occhiata e parlare con Sara. Ebbene, in 10 giorni, sono riuscito a stento a presentarmi perché o stava giocando o faceva atletica o dormiva o studiava!

È così che si fa se si vuole provare a diventare giocatori e così che hanno fatto Fognini, Seppi, Bolelli, Volandri Pennetta, Schiavone, Vinci e che stanno facendo Donati, Quinzi e tanti altri.

L’unica via per diventare giocatori - scusatemi la volgarità - è farsi un culo così!

Altro esempio: al torneo di Correggio under 14 si presenta Belinda Bencic e il padre, fregandosene del torneo, che poi comunque Belinda vincerà, la fa allenare duramente prima e dopo le partite tra lo stupore di tutti. La mattina alle 6 era già lì a provare, a buttare palle e a faticare. Oggi la Bencic e tra le prime 10: dove sono le altre?

È così hanno fatto tutti i campioni che ho avuto la fortuna è l’onore di aver visto crescere, senza eccezioni. Quando vado ai tornei junior, che adoro, e vedo i nostri allenarsi venti minuti perché hanno la partita, mi viene da piangere perché non guardano avanti; se l’obiettivo è vincere Salsomaggiore (così non si offende nessuno vista la mia fraterna amicizia con gli organizzatori) allora è giusto riposarsi prima di ogni partita, se invece vuoi diventare forte, allenati duro, sempre, a prescindere dal fatto se vinci o perdi.

Dobbiamo, per me, avere l’obiettivo di diventare “giocatori” non di vincere i tornei junior, ma di migliorare attraverso di loro e, se si fa così, qualcuno magari lo si vince anche. Questo ho visto fare a tanti campioni e giocatori forti da Ivanisevic alla Seles dalla Hingis a Sampras da Agassi alla Graf alle Williams a Djokovic e via dicendo.

Molti criticano, spesso a ragione, Sergio Giorgi che sicuramente non è il miglior coach del mondo, però ha avuto una sola allieva e, assieme, hanno lavorato come pazzi e così Camila, bene o male, è stata top 30 e questo solo perché stava sempre in campo, fin da piccola. La maggior parte dei suoi critici non ha mai formato un “fantasma” di giocatore! E questi - ahimè - sono fatti.

In tutti gli sport, se vuoi eccellere, devi dedicartici completamente, col rischio anche che ti capiti quello che è successo allo sfortunato Tamberi che, però, è talmente serio e ha una tale cultura del lavoro che tornerà più forte che mai.

 

Concludo dicendo che prospetti di giocatori ne abbiamo, dobbiamo solo lavorare meglio e soprattutto molto di più e avere l’obiettivo di formare dei giocatori, non di vincere da under. Io ammiro molto ciò che ha fatto e sta facendo il nostro Presidente Angelo Binaghi (nella foto sopra) però adesso gli do una tiratina di orecchie, perché sono sicuro che, se prende veramente a cuore il settore tecnico, se ci investe sul serio tempo e denaro, se mette persone capaci a tempo pieno, qualcosa cambia. In fondo, caro Angelo, sei come Djokovic prima di vincere Parigi. Ti manca solo quello!

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