Fognini e la rivoluzione del silenzio

Da un anno e mezzo, il numero 1 azzurro si fa allenare da Franco Davin, coach di fama ed esperienza, con un carattere molto diverso da José Perlas: “Lui faceva lunghi monologhi, mentre a volte sono io a dover tirare fuori le parole a Franco”. Un approccio soft che può aumentarne la serenità e migliorare la tolleranza alle situazioni negative.

“Franco e Josè sono i migliori coach che abbia mai avuto”. Fabio Fognini non vuole, e non può, fare sgarbi all'uomo che lo ha seguito per cinque anni, dal 2012 al 2016. Con José Perlas ha toccato le vette più alte, a partire da quel numero 13 ATP e la prima semifinale in un Masters 1000 (Monte Carlo 2013). Ma come tutti i cicli, si è esaurito. A fine 2016 c'era un Fognini un po' giù, sfibrato, forse sfiduciato, un po' consumato da tanti anni di tennis. E allora ecco la scelta – anche dolorosa – di lasciare il coach spagnolo per cercare nuove strade, alternative. Accordo con Franco Davin, base europea a Barcellona, base internazionale a Miami.”Volevo cambiare qualcosa, trovare qualche stimolo in più – ha detto Fabio dopo la vittoria con Gojowczk – Davin mi sembrava la persona ideale, considerando i giocatori che allenato e dove li ha portati. Continuiamo a lavorare finché la capoccia tiene. Siamo due buone persone, ci troviamo bene... spero di continuare a godermi il tempo insieme a lui e che questo sodalizio duri per tutto il resto della mia carriera”. Fognini non ne parla spesso, ma c'è tanto di Davin nella rinascita tecnica che lo ha riportato tra i primi 20 ATP, partendo dal numero 49 (peggior classifica dal 2012) e – ancor più importante – invertendo una tendenza negativa. Semifinale in un Masters 1000, due titoli ATP (Umago 2017 e San Paolo 2018) e, più in generale, la sensazione di essere tornato competitivo, pericoloso, imprevedibile. Con il coach argentino, proveniente da quella terra santa chiamata Tandil, ha imparato a gestire meglio i game di servizio (“Non sarò mai come Karlovic, ma ottenere qualche punto gratis può essere importante per uno come me”), mentre negli ultimi match ha trovato un buon feeling alla risposta, stando qualche centimetro – anche metro, a volte – più lontano dal campo. Sono venuti fuori i tre successi al Foro, tutti forieri di messaggi importanti. Monfils per rompere il ghiaccio, Thiem per capire di essere ultra-competitivo, Gojowczyk per dare una prova di maturità.

EQUILIBRIO TRA GENIO E FOLLIA
Quando Fabio si è presentato davanti ai giornalisti, era un po' teso. Qualche articolo non gli aveva fatto piacere, così come alcune domande relative al fatto che fosse nervoso. “Sicuramente ero più teso rispetto ai match precedenti e penso che si sia visto. La cosa importante è stata vincere, non importa come”. Quando hanno continuato a interrogarlo sul punto, ha replicato: “Non capisco perché insistete su questo, fa notizia il fatto che io fossi nervoso... Non capisco perché sottolineate le cose negative anziché essere contenti”. Questa tensione si può interpretare in due modi: da un lato, Fognini spende troppe energie mentali “annusando” l'aria attorno a sé. E il clima di tensione non è mai positivo. Dall'altro, il fatto che si arrabbi significa che è vivo, che ci tiene, che non riesce a fregarsene. Vive in costante equilibrio tra genio e follia: a volte pende da una parte, a volte dall'altra. A Roma gli era spesso girata male, adesso ha apparecchiato il torneo per scrivere una pagina importante. Perché i quarti sono un bel risultato, ma battere Nadal sarebbe ben più libidinoso. “Più di una volta l'ho fatto tornare a casa scontento, ma non ci sono dubbi che sulla terra sia il numero 1 della storia”. I precedenti dicono 10-3 per Rafa, segno che l'impresa è titanica ma non impossibile. Di sicuro non potrà permettersi “gambe dure” come ha ammesso di aver avuto contro Gojowczyk, avversario ostico al di là della classifica. “Col rovescio non gli stavo dietro, serve bene e trova tutti gli angoli. Sinceramente, non me lo vorrei trovare contro sul veloce”. Un attestato di stima che trova conferma nelle statistiche, griffate da Trenitalia: il servizio più veloce del torneo lo ha sparato il tedesco, a 228 km/h. Per rendere più spesso al 100%, Fognini ha bisogno di una certa serenità. E allora Davin può essere la persona giusta, col suo approccio morbido, così diverso da quello di Perlas. “Josè parlava moltissimo, capitava che facesse monologhi di 10 minuti e dovessi fermarlo, mentre Franco è molto più silenzioso, a volte sono io a dovergli tirare fuori le parole”. Un modo di fare “soft” che ha permesso a Gaston Gaudio di vincere un clamoroso Roland Garros e ha accompagnato per una vita Juan Martin Del Potro, dalle stelle dello Us Open vinto al tunnel degli infortuni. Fognini spera di portare avanti il progetto fino alla fine della sua avventura nel tennis, ed è un augurio importante. Però adesso c'è un obiettivo immediato da raggiungere

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