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Marco Caldara
20 February 2018

Federer su terra? Un rischio che non serve

Malgrado nel 2017 la scelta di saltare i tornei sul rosso abbia pagato alla grande, Federer non ha ancora chiuso la porta alla terra. La sfida di rinascere anche lì è affascinante, ma se è tornato numero uno con soli 12 tornei, perché giocarne di più? Non è solo una questione fisica o mentale, ma anche di prevenzione degli infortuni.
È il grande giorno di Roger Federer. Il numero uno della classifica ATP è tornato nelle sue mani venerdì a Rotterdam, ma è diventato ufficiale con la pubblicazione del ranking di oggi, lunedì 19 febbraio 2018. Vuol dire 14 anni e 17 giorni dopo la prima volta in vetta, a testimonianza di una longevità senza precedenti nel mondo della racchetta. È diventata uno dei suoi punti di forza, fondata su una condizione fisica meravigliosa, sicuramente non da 36enne. È facile, quando scende in campo, restare impressionati dalla sua classe, dalla facilità con cui colpisce la pallina e dalle soluzioni che riesce a trovare, ma non va assolutamente dimenticato che nulla è per caso, e il tutto è reso possibile da un lavoro importante nella quotidianità. L’ha detto anche a Rotterdam, teatro del suo 97esimo successo in carriera: al pubblico sembra tutto semplice, ma per tenere certi livelli lo svizzero è costretto a lavorare il doppio rispetto a qualche anno fa. Il merito è suo come del suo storico preparatore atletico Pierre Paganini, e anche delle tante scelte azzeccate fatte negli ultimi anni. Su tutte due: lo stop a metà 2016, che gli ha permesso di ricaricare le batterie (e la schiena) usurate da anni e anni di successi, e la scelta di saltare a piedi pari la scorsa stagione sulla terra battuta. Proprio dall’ultimo punto arriva uno dei grandi interrogativi legati al suo 2018: modificare il piano di successo dello scorso anno, riprendendo anche a giocare qualche torneo sulla terra battuta, oppure stare ancora alla larga dai tornei sul rosso? La classifica direbbe di lasciar perdere, visto che Roger è tornato in testa con appena 12 tornei nel best 18, che vuol dire avere uno zero ogni tre caselle disponibili. Eppure a Rotterdam ha confessato che ci sta facendo un pensierino.
I PROBLEMI DELLA TERRA SECONDO PAGANINI
Federer ha spiegato che deciderà come muoversi dopo il Masters 1000 di Miami, e anche se difficilmente lo vedremo in gara in tutti i grandi tornei in preparazione al Roland Garros come accadeva un tempo, giocare un Masters 1000 più lo Slam parigino può essere un’ipotesi da prendere in considerazione. Dopotutto, al di là della rincorsa ai 100 titoli (e poi al record di Connors), quella di tornare a essere molto competitivo sulla terra – e magari batterci per una volta Rafael Nadal – può essere l’ultima sfida ancora da completare nel suo ritorno ad alti livelli. Tuttavia, le incognite da valutare sono tantissime, e non solo per una questione di potenzialità o per evitare delle possibili sconfitte (per lui più probabili che altrove) che potrebbero minare le convinzioni costruite negli ultimi tredici mesi, ma anche – o soprattutto – per questioni di natura atletica. La terra richiede uno sforzo fisico molto superiore rispetto alle altre superfici, per un motivo ben spiegato da Pierre Paganini al New York Times, durante la passata stagione. “Il vantaggio della terra – ha detto il preparatore atletico di Federer – è che l’impatto sulle articolazioni è minore, perché c’è la possibilità di scivolare, mentre sul cemento no. Tuttavia, sul cemento questo impatto è molto breve, e poi il piede si stacca immediatamente da terra, quindi per un giocatore come Federer, che danza sul campo, lo shock è molto minore. Sul rosso, invece, le scivolate generano enormi vibrazioni nelle articolazioni, e per controllare le scivolate si genera instabilità nel ginocchio, nel piede e nella caviglia. Una situazione che può diventare molto pericolosa”. Vista l’attenzione che ha messo in tutte le fasi della sua rinascita, si può stare certi che Federer valuterà il tutto con l’estrema attenzione. Dopo aver costruito il mito del giocatore che non invecchia mai, farsi tradire dal desiderio di dimostrare qualcosa che non deve più dimostrare sarebbe un vero peccato.
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