Alla fine piangevano tutti. Roger Federer perché ha vinto il suo ottavo titolo a Wimbledon, e soltanto lui sa quanta sofferenza ci sia dietro. Marin Cilic perché, poveretto, non ha potuto difendersi al meglio in una giornata che è parsa più celebrazione che agonismo. Basta questo per sintetizzare il 6-3 6-1 6-4 con cui lo svizzero ha cucito l'ennesima giornata di un viaggio iniziato 19 anni fa, proprio di questi tempi, quando perdeva da Lucas Arnold al primo turno del torneo ATP di Gstaad. Doveva essere un pomeriggio complicato, invece è stata la partita perfetta per Federer. Attenzione: “per” Federer e non “di” Federer, perché non ha avuto bisogno di fare chissà cosa nei 101 minuti che gli hanno spalancato i rituali post-vittoria: la stretta di mano col Duca di Kent, il trofeo al cielo, l'intervista con Sue Barker, il giro di campo e il saluto dal balcone per tutti quelli che non avevano avuto l'accesso al Centre Court. Lo ha fatto per l'ottava volta, come mai nessuno nella storia. Grazie alla norma del challenge round, William Renshaw aveva vinto per sette volte prima ancora che fosse inventata la radio. C'era già internet quando Pete Sampras lo aveva imitato, imponendosi per sette volte tra il 1993 e il 2000. L'anno dopo, avrebbe perso contro un giovanissimo Federer: ma non avrebbe mai immaginato, Pistol Pete, che sarebbero bastati sedici anni per vedersi privare anche di questo record.