Marco Caldara
22 August 2018

Federer ha ragione: i favoriti sono altri

Secondo i bookmakers, Roger Federer è solo il terzo favorito per lo Us Open, al via lunedì. Il numero 2 del mondo ne fa una questione d'età ("come fa un 37enne a essere favorito?"), ma la realtà è che a New York non vince addirittura da dieci anni. E le sue ultime cinque sconfitte dicono che rispetto al 2017 qualcosa sta funzionando molto meno.
Da quel 7 settembre 2008 sono passati dieci anni. Roger Federer aveva i capelli un tantino più lunghi, era ancora celibe, senza figli, con 27 anni appena compiuti sulla carta d’identità e il brutto vizio, poi corretto, di gettarsi a terra in maniera teatrale anche al termine di finali Slam a senso unico. L’aveva fatto anche dopo il 6-2 7-5 6-2 contro un Andy Murray ventunenne, che gli aveva consegnato il suo quinto trionfo consecutivo a Flushing Meadows, perfetto per smaltire la delusione di Wimbledon, del mancato oro olimpico e del numero uno passato da poco nelle mani di quel Rafael Nadal che aveva ufficialmente iniziato a mettergli i bastoni fra le ruote. All’epoca, il campione di Basilea non immaginava che quello sarebbe rimasto il suo ultimo trionfo allo Us Open, perché nella finale dell’anno dopo sarebbe arrivata l’impresa di Del Potro e da lì in poi una serie di sconfitte più o meno sorprendenti, che hanno complicato il suo rapporto con l’ultimo Slam della stagione. Fa un certo effetto rendersene conto, ma è la verità: Federer nella Grande Mela non vince da dieci anni, e dopo il pokerissimo 2004-2008 ha raggiunto soltanto un paio di volte la finale. Un motivo sufficiente, unito ai risultati dei due Masters 1000 in preparazione allo Slam newyokrese, per dargli qualche chance di successo in meno rispetto ai due storici antagonisti Rafael Nadal e Novak Djokovic, esattamente come scelto dai bookmakers di tutto il mondo. Il preferito delle case di scommesse è il serbo, reduce dal Career Golden Master firmato a Cincinnati, il cui titolo è dato quasi universalmente a 3,50. Segue Nadal a 4,50, mentre Federer è terzo a 5,50, e sarà sicuramente un tantino più spaventato di Nadal dal rischio di trovare Djokovic sul suo cammino già nell’ipotetica semifinale.
Roger Federer col trofeo dello Us Open 2008: da allora non ha più vinto a Flushing Meadows
PIÙ SCONFITTE, PIÙ PERPLESSITÀ
Quando Federer dice di non sentirsi fra i favoriti, dunque, non c’è particolare pretattica, perché sono i numeri a delineare la situazione. “È passato troppo tempo dalla mia ultima vittoria a Flushing Meadows perché io possa essere considerato uno dei favoriti”, ha detto in un’intervista con la RSI, spiegando che per ora il suo obiettivo è solamente quello di concentrarsi il più possibile sui primi turni, per poi riuscire ad andare il più lontano possibile. “I favoriti – ha chiuso – sono altri, non un trentasettenne”. In realtà l’età non è un fattore, perché come ha vinto a Melbourne a 36 anni e mezzo può tranquillamente ripetersi in America otto mesi dopo, ma al momento Roger sembra averne meno dei due diretti concorrenti, e per lui il ritorno di Djokovic fra i grandissimi non è affatto una buona notizia. Il serbo si era già intromesso fra lui e Nadal anni fa, e sta facendo di nuovo la stessa cosa ora che sia Roger sia Rafa sono tornati a dominare come nei loro periodi d’oro. In più, anche se il fascino del suo tennis tende spesso a coprire tutto il resto, è evidente che la situazione di Federer non è più la stessa dello scorso anno, quando riusciva a trasformare in oro tutto ciò che gli passava sotto ai piedi. La sconfitta contro Del Potro in finale a Indian Wells aveva iniziato a far sorgere qualche perplessità, e da allora di k.o. ne ha collezionati altri quattro: contro Kokkinakis a Miami, Coric a Halle, Anderson a Wimbledon e Djokovic a Cincinnati. Anche volendo escludere l’ultimo, figlio di una partita giocata male dall’inizio alla fine (capita), le sconfitte hanno acceso qualche campanello d’allarme per il modo in cui sono arrivate, con Roger beffato nel testa a testa da avversari inferiori. Segno che c’è qualcosa che non funziona più come nei mesi d’oro della rinascita, e in uno Slam, al meglio dei cinque set, mascherare certe difficoltà è ancora più difficile che altrove.
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