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Riccardo Bisti
24 November 2018

Elias Ymer, un film per commuoversi. E vincere

Buon protagonista nel circuito Challenger, Elias Ymer giocherà la finale al torneo di Pune, dove ha avuto modo di commuoversi perché ha visto un film che racconta una storia simile alla sua, figlio di un immigrato etiope in una cultura (molto) diversa come quella svedese. Però deve ancora conquistare un posto tra i top-100 ATP.

Il tennis giocato sta per terminare. Il weekend non propone la sola finale di Coppa Davis, ma anche gli ultimi ATP Challenger. Ad Andria c'è un ottimo Filippo Baldi in semifinale, mentre a Pune prosegue il momento d'oro dell'indiano Prajnesh Gunneswaran, ottimo finalista dopo aver vinto la scorsa settimana a Bangalore. A suon di risultati, si sta candidando per un posto nel match di Coppa Davis contro l'Italia. In finale se la vedrà con uno dei ragazzi più “pompati” della Next Gen. Ormai è fuori età, ma su Elias Ymer era stato costruito un personaggio. Non poteva essere altrimenti, vista la sua particolare storia di promessa svedese, ma figlio di etiopi. Tanto è bastato per convincere l'ATP a realizzare un documentario in Etiopia, in cui Elias racconta l'esperienza nella terra delle sue origini. Sul campo è andata così così: nel 2015 era stato capace di qualificarsi a tutte le prove del Grande Slam, ma non è ancora riuscito a entrare tra i top-100 ATP. Non ce l'ha fatta neanche nel 2018: dovesse vincere a Pune, dovrebbe attestarsi intorno al numero 116. Nella sua permanenza indiana, gli è capitato di vedere il film “Dangai”, e si è commosso. A suo dire, la storia gli ha ricordato le difficoltà incontrate da suo padre nel tentativo di crescere due piccoli tennisti, Elias e il fratello minore Mikael. In Svezia, patria adottiva, non è stato facile. “L'Etiopia è famosa per aver prodotto dei corridori, ma non ha nulla a che fare con il tennis – racconta Ymer – dunque la gente inizia a dire che non puoi fare il giocatore”. Il padre aveva trovato rifugio a Stoccolma dopo essere scappato dal paese d'origine, teatro di una guerra civile come accade in troppi paesi dell'Africa nera.

DUE GIOVANI LOTTATRICI
“Non è che in Svezia ci hanno consigliato di smettere, ma c'erano parecchi dubbi su di noi. Pensavano che potessimo solo correre, che il tennis non facesse per noi. Quando ho visto il film, giovedì, mi sono messo a piangere perché racconta la stessa storia: un padre che fa tutto il possibile per aiutare e sue figlie ad avere una carriera nello sport”. La Svezia è un paese di immensa tradizione: Bjorn Borg è stato il pioniere, poi sono arrivati campioni su campioni. L'ultimo è stato Robin Soderling, ex numero 4 ATP, prima di un agghiacciante vuoto che vede nei fratelli Ymer l'unica possibilità di una via d'uscita. Si dice che Mikael, due anni più giovane di Elias, sia ancora più talentuoso. Per adesso è numero 286 ATP e paga una struttura fisica un po' gracile. Il fratello maggiore sembra più preparato a reggere il confronto con i superuomini del circuito ATP, ma il suo tennis manca un po' di “punch”. Magari ci smentirà, ma non sembra ai livelli dei suoi coetanei più forti. Il film visto in questi giorni è una pellicola di punta di Bollywood e racconta la storia di Geeta e Babita Phogat, due aspiranti wrestlers. Papà Mahaveer lotta disperatamente con un establishment che ritiene la lotta libera uno sport esclusivamente maschile. Wondwosen Ymer, ex corridore professionista, è fuggito dall'Etiopia quando aveva 18 anni. “Non ha mai voluto prendere parte alla guerra, si nascondeva. Sua sorella aveva sposato un uomo svedese e gli suggerirono di fuggire in Svezia. Lo ha fatto quando aveva 18 anni”.

ADDIO SODERLING
La storia della famiglia Ymer è già nota, ma è davvero affascinante. La madre di Elias e Mikael aveva studiato medicina in Russia e avrebbe voluto mettere a disposizione le sue conoscenze in Etiopia, ma la guerra le ha impedito di tornare. “Qualcuno le offrì un lavoro a Stoccolma ed è lì che lei e mio padre si sono conosciuti. È fantastico”. Elias è un po' “capriccioso” quando si tratta di allenatori. Ne ha cambiati diversi negli ultimi anni, forse è stato un fattore che ne ha rallentato la crescita. Dopo Norman, ha lavorato con Galo Blanco (aveva creato un mini-team con Karen Khachanov), poi c'era stata una suggestiva partnership con Robin Soderling, ma è terminata nel momento in cui l'ex top-5 svedese non riusciva a seguirlo full time. Molto competitivo nel circuito Challenger (ne ha vinti cinque, l'ultimo un paio di settimane a Mouilleron Le Captif, già conquistato nel 2017) e adesso cercherà di intascare il sesto sul cemento indiano, anche se un successo non sarà sufficiente per garantirsi l'accesso al main draw dell'Australian Open. Ma lui è abituato a giocare le qualificazioni. E spesso le passa. Negli Slam è già successo sei volte.

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