E se il Miami Open si spostasse...allo stadio?

Colpo di scena: Stephen Ross, proprietario dei Miami Dolphins, vorrebbe portare il Miami Open in una nuova struttura adiacente al rinnovato Hard Rock Stadium. Il campo centrale sorgerebbe dentro lo stadio. Nel frattempo, il sindaco di Miami spinge per annullare gli accordi che impediscono la crescita nell'attuale sede di Key Biscayne.

Sicuri che l'isolotto di Key Biscayne sia l'unica possibilità per mantenere a Miami lo storico Miami Open? In questi giorni è emersa un'indiscrezione molto suggestiva: spostarlo in un impianto tutto nuovo, da costruire, adiacente all'Hard Rock Stadium, laddove giocano i Miami Dolphins di football americano. L'idea nasce da Stephen Ross e Tom Garfinkel, rispettivamente presidenti dei Dolphins e dell'Hard Rock Stadium. I due hanno fatto visita al torneo giovedì scorso e hanno parlato con il direttore Adam Barrett. La loro proposta, che prevede investimenti esclusivamente privati, collocherebbe il campo centrale all'interno dello stadio, mentre tutti gli altri campi (Grandstand, campi di torneo e allenamento) sarebbero permanenti. Non mancherebbero l'area ospitalità e strutture di vario genere, che non sarebbero utilizzate soltanto per il tennis, ma anche per i match dei Dolphins, le partite di calcio e qualsiasi altro evento presso lo stadio. L'Hard Rock Stadium è stato rinnovato qualche anno fa, è in grado di ospitare 65.000 spettatori nell'allestimento classico (per il tennis, ovviamente, sarebbero molti di meno) e vanta spazi enormi all'esterno: basti pensare che c'è un enorme parcheggio con circa 24.000 posti auto...L'opzione non dispiace al fondatore Butch Buchholz, fondatore ed ex proprietario del torneo. Per lui, la sede ideale resta l'attuale, ma l'opzione “Hard Rock” è certamente meglio di un possibile trasferimento. “Ho scelto Key Biscayne per l'atmosfera dell'isola, che si raggiunge attraversando il ponte e trasmette l'idea che sia un luogo paradisiaco. La priorità numero 1, tuttavia, è che il torneo resti a Miami. I giocatori e il pubblico sono contenti di venire qui, è un gioiello per la nostra comunità. Se fosse possibile effettuare a Key Biscayne i miglioramenti necessari, sarebbe lo scenario ideale. In quel caso avremmo la combinazione giusta: grandi strutture e vista sull'oceano, la baia e la città di Miami”. Ma l'eterna battaglia legale che blocca i lavori rende interessante la proposta di Stephen Ross.

COMITATO DI QUATTRO PERSONE
Per anni, il Miami Open è stato considerato il “Quinto Slam”. Lo era per strutture, clima e campo di partecipazione. I giocatori lo hanno votato come torneo dell'anno per sei volte, ma l'ultima risale al 2008. Dal 2014, il premio va al BNP Paribas Open di Indian Wells. Il merito è del patron Larry Ellison, che nel 2009 ha acquistato un evento boccheggiante per 100 milioni di dollari, poi ne ha investiti altri 200 per migliorare le strutture. Ad oggi, Indian Wells è l'unico torneo al mondo con la tecnologia “Hawk Eye” in tutti i campi, più altre strutture di alto livello. Da parte sua, Miami non ha saputo tenere il passo. Spostarsi presso l'Hard Rock Stadium significherebbe slegarsi le mani dalle limitazioni di Key Biscayne, dove ogni cambiamento – anche il più piccolo – deve essere approvato da un comitato di quattro persone, con due dei quattro seggi controllati dalla famiglia di Bruce Matheson, il 70enne che si è opposto – con successo – ai progetti di ampliamento presentati qualche anno fa e approvati dalla comunità con un referendum. In verità, non tutti i Matheson (eredi della famiglia proprietaria dell'isolotto) sono ostili alla crescita del torneo. La cugina Christine Matheson Andersen, per esempio, sarebbe disposta ad accettare un'offerta di 20 milioni di dollari alla famiglia in cambio di norme più permissive. La proposta è partita da Gene Stears, l'avvocato che ha rappresentato il torneo nella complessa battaglia legale. Anche le istituzioni sono d'accordo con il Miami Open: Carlos Gimenez, sindaco di Miami, ha dato mandato agli avvocati di andare avanti e ha aspramente criticato le norme attuali, che – secondo la sua nota – consentono a una singola persona di avere il contro del parco “che è uno dei gioielli della Contea di Miami Dade”. Oltre all'impossibilità di effettuare i lavori, l'accordo del 1993 prevede altre restrizioni: ad esempio, a Crandon Park non possono essere affissi cartelloni pubblicitari. In questo modo, è impossibile organizzare eventi di beneficenza per l'assenza di sponsor. “Il mio impegno è l'utilizzo di Crandon Park per scopi pubblici: vorrei lavorare affinché possa diventare il parco pubblico che i residenti meritano e si aspettano”.

L'INVESTIMENTO DI STEPHEN ROSS
Ma da chi è composta la commissione, istituita nel 1993? Due posti sono ad appannaggio del National Parks Conservation Association, associazione no profit con sede a Washington. Uno di questi è stato ceduto a Matheson, l'altro a un membro dello staff (John Adornato). La Contea di Miami possiede gli altri due. “La Contea dispone del 50%, io del 25%” ha detto Matheson, respingendo l'accusa di controllare entrambi i posti NPCA. L'offerta di Ross sembra dare un impulso ai tentativi istituzionali di convincere Matheson a modificare l'accordo attuale. L'eventuale trasferimento presso l'Hard Rock Stadium potrebbe aumentare i contributi che la Contea è tenuta a dare ai Miami Dolphins per ogni grande evento presso lo stadio. Nel 2014, infatti, in cambio del maxi investimento di Ross (ristrutturazione dello stadio per 400 milioni di dollari e l'impegno a mantenere la franchigia a Miami per almeno 30 anni), la Contea si è impegnata a versare 5 milioni di bonus annui per i grandi eventi, come ad esempio il Super Bowl o i grandi match di calcio. Si tratta di un accordo ventennale che può essere cancellato se gli incassi derivanti dai grandi eventi fossero inferiori alle attese. Con il Miami Open, l'appeal dello stadio avrebbe un notevole impulso. Essendo il tennista del momento, Roger Federer ha dovuto dire la sua anche sul futuro di questo torneo. “Dipende dalla crescita della sede. Non penso che possano migliorare molto in termini di capienza. Il problema è questo: la situazione attuale va bene o no? Se si vuole crescere, bisogna spostarsi. Ma siamo sicuri che l'erba del vicino sia sempre più verde? Non ne sono sicuro. Conosco questo torneo da tempo, l'ho giocato per la prima volta nel 1998. Da un lato, è auspicabile che resti qui, ma a questo punto credo che tutti comprenderebbero la necessità di spostarsi”. In un maxi-stadio di football si perderebbe il romanticismo, però – forse – arriverebbe quello che manca. E manca sempre di più. 

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