“Essere americano vuol dire anche essere un po' antipatico”. CoCo Vandeweghe lo diceva qualche anno fa, quando si faceva notare più per le sparate fuori dal campo che per i risultati. Una volta, disse che prima o poi sarebbe diventata numero 1 del mondo. Difficilmente accadrà, ma la personalità è come il talento: o ce l'hai o non ce l'hai. Non la puoi comprare al supermercato. Colleen (questo è il suo vero nome) Vandeweghe ce l'ha, e le è servita a tenere in piedi una baracca americana che senza di lei sarebbe affondata. E invece gli Stati Uniti ridono, ebbri di gioia. Ride capitan Kathy Rinaldi, ride la presidentessa USTA Katrina Adams, ride la deludente Sloane Stephens. Ma se gli States possono gioire per aver riconquistato la Fed Cup dopo un digiuno di 17 anni, devono ringraziare CoCo. Per lei, la bandiera viene prima di tutto. Gliel'ha insegnato la mamma, atleta olimpionica in ben due edizioni dei Giochi: Montreal 1976 (nuoto) e Los Angeles 1984 (pallavolo). Le ha insegnato a emozionarsi quando parte l'inno, ad accendere un forte senso patriottico. CoCo aveva raggiunto un primo obiettivo l'anno scorso, quando aveva acciuffato in extremis un posto alle Olimpiadi di Rio de Janeiro. Ma non bastava: voleva lasciare il segno. Lo ha fatto quest'anno, diventando la prima giocatrice nella storia moderna della Fed Cup (dal 2005 a oggi) a vincere otto partite in una sola edizione. Soltanto Petra Kvitova, nel 2011, aveva vinto sei singolari. CoCo ci ha messo dentro anche due doppi, compreso quello decisivo nella finale della Chizhovka Arena di Minsk, dopo che Aliaksandra Sasnovich aveva strozzato in gola l'urlo delle americane, battendo al fotofinish Sloane Stephens.