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Del Potro e i due segreti per battere Federer

Una splendida finale, condita da 3 matchpoint annullati e un arrivo al fotofinish, regala a Juan Martin Del Potro il suo primo Masters 1000. Per battere Sua Maestà, l'argentino ha utilizzato un paio di armi segrete: un antico consiglio del suo ex coach Franco Davin e una decisione dopo un paio di recenti distacchi.

Non capita spesso che Roger Federer perda dopo aver avuto matchpoint a favore. A maggior ragione se si tratta di una finale. È successo nel match più bello del 2018: Juan Martin Del Potro ha intascato il primo Masters 1000, a 29 anni e mezzo di età. La carta d'identità dice una cosa, ma la storia ci impone di ricordare il (tanto) tempo perso a rincorrere gli infortuni al polso. Messi alle spalle i momenti più difficili, sfociati in un principio di depressione, era tornato prepotentemente nel 2016, quando contribuì al successo dell'Argentina in Coppa Davis. Un impegno di tre settimane in un anno (sia pure condito da un bell'argento olimpico) non era sufficiente per decretare il rientro tra i grandi del tennis. Un conto è fare paura nella singola partita, un conto è trovare continuità. L'ha trovata grazie al supporto di Sebastian Prieto, coach-mago con cui ha vinto 37 partite su 44. E allora non c'è da stupirsi se il nuovo ranking ATP lo vede al numero 6, a un paio di gradini dalla quarta posizione raggiunta un paio di volte e che rappresenta il suo best ranking. Sotto il sole di Indian Wells, l'argentino si è imposto 6-4 6-7 7-6 in una partita bellissima. Nonostante l'inizio alle 13 (e non alle 11 come la semifinale), Federer ha avuto bisogno di circa 45 minuti per calibrare. Tanto bastava per perdere il primo set e cancellare due delicate palle break in avvio di secondo. Piano piano, il livello cresceva e Federer (barbuto come raramente gli capita: d'altra parte, il contratto con Gillette è scaduto da tempo) entrava nel match. Bruciava cinque setpoint (due sul 5-4 e tre consecutivi nel tie-break, l'ultimo con un doppio fallo, dopo che occhio di falco gli aveva cancellato un servizio vincente), poi si trovava a fronteggiare un matchpoint. Del Potro lo sciupava sparando un dritto in rete e Federer artigliava il secondo set. “Per me è stato un momento terribile – ha raccontato l'argentino – ho pensato a lungo a quell'errore sul matchpoint, il dritto è il mio colpo, specie da quella parte del campo. Di solito non lo sbaglio”.

I MIGLIORAMENTI IN RISPOSTA
La pugna proseguiva senza particolari sussulti fino al 4-4, almeno nel punteggio. Sul piano del gioco si è visto molto, quasi 100 colpi vincenti e giocate d'alta scuola. Come la risposta di rovescio di Federer che lo ha mandato a servire per il match sul 5-4. Sul 40-15 sembrava fnita, ma stavolta era Delpo a ricucire il distacco. Annullava il primo matchpoint con un dritto vincente, poi il secondo con una risposta-siluro su cui Federer provava a giocare un'improbabile smorzata. Sul terzo, Roger tentava ancora la palla corta, ma veniva infilato dal recupero in corsa di Palito. Era nervoso, Federer, tanto da lamentarsi con Fergus Murphy perché non aveva prontamente risposto alla sua domanda su quando ci sarebbe stato il cambio palle. Si arrivava al tie-break e per Roger era un incubo: due doppi falli dello svizzero e una bella risposta di rovescio erano i mattoni con cui Del Potro costruiva il 5-0, che poi diventava 7-2. Perché l'argentino è un vincente, il suo braccio non trema mai. Di più: nei momenti di pressione gioca ancora meglio. La buona notizia, per i suoi sostenitori, è che ci sono ancora margini di miglioramento con il rovescio. Meglio non riguardare le immagini di 9-10 anni fa, quando era incisivo quasi quanto il dritto. I problemi al polso lo hanno depotenziato e forse non tornerà quello di prima. Però... “Il miglioramento più importante l'ho avuto nella risposta al servizio. Rispondo sempre con il rovescio bimane, e da lì prendo il controllo del punto. Per me è un grande cambiamento perché mi evita di correre troppo. Direi che è la principale differenza tra il mio tennis attuale e quello di qualche anno fa”. La retorica sulla bella storia di Del Potro, beh, è stata ampiamente consumata nel 2016. Oggi è bello sottolineare come abbia dedicato il successo al suo cagnolone Cesar, un terranova scomparso un mese fa e con cui aveva condiviso gli ultimi 10 anni. Gli aveva dedicato un commosso post su Instagram e stavolta ha scritto il suo nome sulla telecamera, circondandolo da un cuore gigante. Da parte sua, Federer non l'ha presa malissimo. Perdere con 3 matchpoint a favore è dura, ma tutto sommato meritava di uscire in semifinale contro Coric. Può andare bene così. Resta al numero 1 ATP e avrà bisogno di andare avanti a Miami per conservarlo ancora, ma in prospettiva ha messo insieme un bel gruzzolo di punti. Per Del Potro è il titolo numero 22 in carriera, su 32 finali, a testimonianza di quanto sia bravo nei momenti chiave. Contro Federer è sotto 18-7, però nelle finali lo ha battuto quattro volte su sei. Non è un caso. Come non è un caso che l'ennesima rinascita sia arrivata proprio adesso, con due titoli consecutivi e 1.500 punti intascati tra Acapulco e Indian Wells.

QUEL VECCHIO INSEGNAMENTO DI DAVIN
Quasi in contemporanea alla morte di Cesar, è terminata la relazione don Jimena Baron (che però ha pubblicato un tweet di complimenti: riavvicinamento in vista?). Tali distacchi lo hanno convinto a rivolgersi a uno psicologo, Juan José Grande, che aveva già lavorato con Leonardo Mayer. I risultati sono evidenti e certificano quanto “la testa”, la parte mentale, sia decisiva per un tennista. E contro Federer è ancora più difficile non partire battuti in partenza. Tempo fa, Del Potro aveva trovato la chiave per affrontare Federer con efficacia. Ai tempi dei loro primi scontri diretti, capitava speso che prima di un match lo svizzero si avvicinasse all'argentino, mettendo in moto semplici dinamiche psicologiche. “Ogni volta che c'era uno scontro diretto, generalmente prima di partite importanti – raccontava l'ex coach Franco Davin, oggi al fianco di Fognini – Roger veniva nello spogliatoio quando c'erano poche persone. Parlava, giocava a carte con noi, faceva gruppo... all'inizio non ci feci molto caso, ma dopo ho notato che questa situazione rilassava Del Potro, gli toglieva la voglia di vincere a tutti i costi”. I due parlavano di orologi, del fatto che avevano lo stesso sponsor, della racchetta, dell'Argentina, della Svizzera o magari di calcio. “Era come parlare con un amico, ma dopo Juan Martin non entrava in campo con il coltello tra i denti”. Allora Davin e il suo ex preparatore atletico Martiniano Orazi lo hanno preso da parte, invitandolo a non parlare più con Federer, almeno prima delle partite. Fu il primo passo per togliere metaforicamente il poster di Federer dalla sua testa. D'altra parte, Federer era uno dei suoi punti di riferimento sin da ragazzino. Inoltre – sempre secondo Davin – lo svizzero faceva il furbetto nel palleggio di riscaldamento, tirando pochi colpi da fondocampo e presentandosi subito a giocare le volèe. “Non lo faceva contro avversari nettalmente inferiori, ma contro Juan sì”. Queste strategie non hanno mai intaccato la loro relazione: i due sono buoni amici, tanto che Federer fu tra i primi a sostenerlo ai tempi della prima operazione al polso (il destro). E fu Del Potro a fare da “cicerone” a Federer nella sua visita in Argentina, a fine 2013. La stima c'è ed è notevole, però non c'è più il timore reverenziale. Si è visto nella finale di Indian Wells.

ATP MASTERS 1000 INDIAN WELLS – Finale
Juan Martin Del Potro (ARG) b. Roger Federer (SUI) 6-4 6-7 7-6

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