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Riccardo Bisti
24 February 2017

Con Casper, la Norvegia non è più un fantasma

I grandi risultati a Rio hanno acceso, ancora di più, i riflettori su Casper Ruud. 18 anni, figlio d'arte, nato da un parto cesareo, vuole dimostrare che anche la Norvegia può produrre un grande tennista. Si allena 1.500 ore all'anno e nel suo paese è già una piccola star.
(*) E' il terzo paese al mondo per reddito pro-capite. Secondo le statistiche, ogni norvegese intasca quasi 100.000 dollari all'anno. A volte si cercano le ragioni più ardite per spiegare la crisi tennistica di un paese, ma nel caso della Norvegia (anzi, Regno di Norvegia), la soluzione è tutta qui. Troppo benessere, qualità della vita troppo alta, sviluppo enorme. Perché mai un ragazzo norvegese dovrebbe dedicarsi al tennis, dove si suda da matti e si arricchiscono in pochi? Perché dovrebbe scegliere uno sport tipicamente estivo quando ci sono lo sci e il biathlon, o al limite il calcio? Non ci sono motivi, infatti. La storia del tennis norvegese racconta che c'è stato un solo tennista di livello, Christian Ruud. Otto anni consecutivi tra i top-100, una finale ATP a Bastad, un ottavo Slam (Australian Open 1997), dodici vittorie Challenger e tre partecipazioni olimpiche. Bella carriera, ci mancherebbe. Accanto a lui, il nulla. Il vuoto assoluto. Come se il talento si fosse disperso tra i fiordi. Ma adesso sta cambiando tutto: non fatevi ingannare da un ranking ATP che vede solo cinque norvegesi. Due di loro, infatti, sono grandi promesse. Viktor Durasovic ha il sangue serbo e ha già fatto parlare di sé, mentre Casper Ruud è il nome nuovo, nuovissimo. La grande speranza di un paese che non conosce gloria tennistica. Non l'ha mai conosciuta. Se Durasovic (n.584 ATP) trova la motivazione nel fatto che il tennis è uno sport secondario, Casper ha una missione in più: deve completare il lavoro inaugurato da papà.
MUSCOLI DA FORGIARE
Già, perché Casper è il primogenito di Christian Ruud e Lele Lolheim (poi sono arrivate Caroline e Charlotte). I radar più sensibili lo avevano già inquadrato, ma il suo nome è esploso qualche settimana fa: 24 ore prima che Wawrinka battesse Djokovic a New York, lui vinceva il Challenger di Siviglia partendo dalle qualificazioni, battendo in finale un volpone come Taro Daniel. A 17 anni e 8 mesi, è diventato il quarto più giovane di sempre a vincere un Challenger alla prima apparizione. Soltanto Michael Chang, Richard Gasquet e Jonathan Stark erano stati più precoci. Come papà, anche Casper si trova meglio sulla terra battuta, però il suo tennis gli concede un certo margine per fare bene un po' dappertutto. Non ama mettersi a quattro metri dalla riga, inoltre è dotato di un ottimo timing. Genetica perfezionata, verrebbe da dire. La mentalità giusta gliela sta inculcando un giovane coach spagnolo: si chiama Pedro Rico, ha 35 anni e ha già lavorato con un certo Roberto Bautista Agut. Insomma, una garanzia. A differenza di Durasovic, che cinque anni fa ha scelto di trasferirsi in Spagna, Casper non ha staccato il cordone ombelicale con Snaroya, penisola di 3.000 abitanti che si trova in un sobborgo di Oslo. Risiede ancora lì, per quanto abbia trovato una base sicura ad Alicante, in Spagna, dove si sta rafforzando sul piano muscolare. Già, perché il ragazzo ha le idee (molto) chiare sul da farsi. Niente gloria effimera nel tour giovanile, ma tanti investimenti su se stesso. A inizio anno era numero 1 junior in virtù di un 2015 buono ma neanche eccezionale (nessun titolo Slam), ma ha deciso di azzerare o quasi i tornei Under 18 per dedicarsi ai Futures. Era numero 1132 ATP. A gennaio ha rinunciato all'Australian Open Junior perché doveva allenarsi. Hanno calcolato che lavori 1500 ore all'anno. “Oggi un tennista non deve avere punti deboli – racconta – allora ho pensato che il 2016 potesse essere l'anno giusto per migliorare sul piano atletico. Negli ultimi 10 anni, il tennis è diventato sempre più fisico. Bjorn Borg, Pete Sampras e Andre Agassi sono stati leggende del tennis, ma non erano forti fisicamente come Novak Djokovic”. Già che c'era, ha anche fatto una foto col numero 1 ATP. “Voglio diventare forte e flessibile il prima possibile e uscire dalle sabbie mobili dei tornei minori”. C'è riuscito in una botta sola, vincendo a Siviglia e piombando tra i top-300 ATP. Insomma, novecento posizioni scalate in nove mesi. E pazienza se ha perso al primo turno di Chengdu, dove peraltro ha giocato un buon match contro Viktor Troicki (ha perso 6-3 7-6).
PER FORTUNA C'E' PAPA'
Con quel nome da fantasma (ricordate il mitico cartone animato?), Casper ha due vantaggi: il primo è di natura economica. Non solo arriva da un paese ricco e da una famiglia benestante, ma ha un mucchio di sponsor. Date un'occhiata alla foto della premiazione a Siviglia: troverete la bellezza di 6 sponsor sulla polo, più uno sulla fascetta da samurai. Si tratta dell'ultimo in ordine di tempo: Isklar è una marca di acqua minerale, molto nota in Norvegia, al punto da sponsorizzare altre stelle dello sport norvegese. Adesso hanno puntato su di lui, che è rappresentato da IMG (passaporto ideale per ottenere qualche wild card). Il secondo vantaggio, ancora più grande, è l'avere un papà ex-tennista. Christian Ruud conosce alla perfezione le insidie del tour e sa quali errori vanno evitati. E' stato lui a mettere una racchetta in mano a Casper, ad appena quattro anni di età, ed è stato lui a insegnargli i rudimenti del tennis. Ma a un certo punto ha capito che ci voleva dell'altro, ed è stato ben contento – con l'ausilio della federtennis norvegese – di affidarlo alle cure di Pedro Rico. Tanto lui ci sarà sempre, per un consiglio, una buona parola, qualsiasi cosa. “Sono stato il miglior norvegese di sempreraccontava l'anno scorso a Marco Caldarada noi la maggior parte degli atleti si dedica allo sci o al calcio, è difficile creare la base giusta per creare un campione. Inoltre serve una maggiore formazione dei coach e la creazione di strutture migliori. Ci stiamo provando”. Un anno dopo le cose vanno ancora meglio, con suo figlio che ha rubato la scena a Durasovic. Ma era destino – davvero – che Casper dovesse perlomeno provarci.
UN PARTO TRAVAGLIATO
La sua nascita fu molto complicata: il 22 dicembre 1998 fu necessario un parto cesareo per metterlo al mondo, poi sono sorte una serie di complicazioni e mamma Lele è rimasta in ospedale altri 11 giorni, Natale e Capodanno compresi. Ma la sua nascita diede una carica incredibile a papà, che andò in Australia e colse la più bella vittoria in carriera, battendo per la prima volta un top-10 in uno Slam. “La mia vita non è più soltanto il tennis, adesso sono più rilassato perché ho altro a cui pensare” disse dopo l'exploit contro Alex Corretja. Quasi 20 anni dopo, i riflettori sono tutti su quel bambino che gli ha già scippato un record: qualche anno fa è diventato il più giovane di sempre a vincere gli assoluti norvegesi, battendo proprio papà (che però ne ha intascati ben quindici). I media norvegesi sono sempre più interessati al fenomeno, tanto da mandare un inviato a Szczecin dopo l'impresa a Siviglia. E qualcuno lo sta già paragonando al baby fenomeno del calcio mondiale, Martin Odegaard, nato appena cinque giorni prima di lui e diventato il più giovane a vestire la casacca del Real Madrid in una gara ufficiale. Dopo la sua vittoria contro Inigo Cervantes, numero 75 ATP, il mito del calcio norvegese John Arne Riise ha fatto irruzione su Twitter: “Vi rendete conto di quello che ha fatto? Spero proprio che se ne parli come se ne sta facendo per Odegaard...”. Per adesso Casper è tranquillo e vive nella sua realtà ovattata, giacché le difficoltà vere devono ancora arrivare. Lo testimonia la sua risposta quando gli hanno chiesto le sue maggiori preoccupazioni. “Beh, mi manca il succo di Ribes Nero...”. Potrà berne quanto vuole, ma prima dovrà dimostrare che anche il ricco Regno di Norvegia può produrre un grande tennista. Sarà compito suo.

(*) Articolo realizzato nel settembre 2016
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