Che bello essere rappresentati da Matteo

Matteo Berrettini è il personaggio di cui l'Italtennis aveva bisogno. Nel suo armadio non ci sono scheletri, ma soltanto sogni e la paziente costruzione di una persona, ancora prima che di un giocatore. Non sappiamo se diventerà il top-10 che aspettiamo da una vita, ma piace dentro e fuori dal campo.

Prima l’uomo, poi il tennista. In campo non scende il giocatore, ma la persona.
È lo slogan con cui si presenta la Rome Tennis Academy, il nuovo progetto lanciato da Vincenzo Santopadre e Stefano Cobolli, cui prenderà parte anche Fabrizio Fanucci, senza dimenticare Paolo Spezzi e il preparatore atletico Elia Andreis. È la nuova base di Matteo Berrettini, la stellina, il Golden Boy del tennis italiano. Il successo in mezzo alle montagne di Gstaad ha scatenato un vivace entusiasmo per il 22enne di Roma. Un entusiasmo giustificato perché, al netto dei risultati, Matteo può essere (e forse è già) uno splendido ambasciatore per il nostro tennis. Berrettini è l'emblema dell'italianità migliore, a partire dalla faccia pulita e dal legame con la famiglia, a cui è andato il primo pensiero dopo la vittoria. Dentro il suo armadio non ci sono scheletri, ma soltanto sogni. Tante persone hanno contribuito a creare il bel giocatore di oggi, ma non c'è dubbio che Vincenzo Santopadre – fervido sostenitore della frase ricordata qualche riga fa – sia l'artigiano che ha intravisto il diamante e lo ha sgrezzato, mischiando bastone e carota, fino a farlo brillare. Ce ne siamo accorti lo scorso ottobre, quando chi scrive si è recato presso il Circolo Canottieri Aniene, trascorrendo mezza giornata nel Mondo Berrettini. Mancava un mese alle Next Gen Finals e si pensava che Matteo avrebbe conquistato la wild card riservata al tennista italiano. Non andò così, ma anche quella (piccola) delusione è stata formativa per il Berrettini di oggi. Arriveranno altri momenti difficili, e Santopadre lo sa. Prima di ritrovarlo a Kitzbuhel, anziché celebrare oltre misura questo successo, ha ricordato che arriveranno le sconfitte e altri scogli da superare, sempre più alti. Ma il diamante romano saprà come superarli.

EDUCAZIONE E RISPETTO
Il Mondo Berrettini, dicevamo. Era una mattina di inizio autunno e Matteo si allenava sul campo in cemento costruito qualche tempo fa al Circolo Canottieri Aniene. Un po' nascosto tra siepi, piante e cespugli, una specie di metafora della sua crescita silenziosa. Con lui il fratello Jacopo (che sta crescendo bene) e l'immancabile Santopadre, che insieme a Stefano Cobolli lo ha preso quando non era nemmeno un progetto di giocatore. Aveva 14 anni e non aveva neanche troppa voglia di lasciare il Circolo della Corte dei Conti, laddove si trovava benissimo. Ma le “good vibes” trasmesse da Santopadre lo convinsero a mettere in piedi un progetto che oggi brilla. “In una ventina di minuti dovremmo fare tutto” dissi prudentemente a Matteo, conosciuto qualche tempo prima e incrociato qua e là, senza mai approfondire troppo. Non sapevo come si sarebbe comportato in un'intervista più approfondita rispetto alle tradizionali “post-match”. È finita che siamo rimasti un'ora con il registratore acceso, sotto un gazebo e con la fiducia che cresceva, minuto dopo minuto. Sono rimasto impressionato da maturità, linearità di pensiero e proprietà di linguaggio. Quello che disse Matteo è pubblico da tempo: qui vale la pena ricordare il modo in cui rispondeva alle domande. Ascoltava con attenzione, non gettava al vento neanche una parola, teneva a farsi capire, sia che si trattasse di aneddoti del passato, delle difficoltà incontrate, delle minacce ricevute via social, o dell'esposizione mediatica che all'epoca si stava gonfiando e oggi è deflagrata. Cresciuto in una famiglia di sportivi, ha appreso sin da bambino valori importanti come l'educazione il rispetto. Non è mica facile, quando ti trovi in Egitto e una partita sta andando male, pensare che: “I miei genitori stanno lavorando mentre io sono qui a giocare a tennis”. Specie se sei ancora un ragazzino.

IL SIMBOLO DI UNA RINASCITA UMANA E MORALE
Ma se certe cose le hai dentro, ti accompagnano per sempre. Come cinque mesi fa: doveva giocare le qualificazioni al torneo ATP di Marsiglia, ma un buon piazzamento al Challenger di Cherbourg gli impedì di giocarle. E allora si è recato a Bergamo, per un altro Challenger dove aveva tutto da perdere: meno stimoli (è umano), meno punti in palio e l'inevitabile pressione di essere la testa di serie numero 1. Invece ha giocato da numero 1, fedele a un impulso emotivo sviluppato qualche settimana prima, dopo alcune sconfitte che non gli erano andate giù: “Giocare ogni partita come se fosse l'ultima della mia vita, che sia un Futures o un torneo ATP”. È finita che ha vinto il torneo, accogliendomi negli spogliatoi per una breve (stavolta sì) intervista post-match. Non c'erano altri posti dove parlare: in mezzo al campo, e nel tunnel verso gli spogliatoi, era stato letteralmente preso d'assalto dai bambini a caccia di foto e autografi. Lo spogliatoio era l'unico luogo off-limits. Matteo ha ben compreso le responsabilità dell'essere un tennista di alto livello: per questo, ha rispettato il lavoro altrui con considerazioni per nulla banali anche se aveva l'asciugamano in una mano e lo shampoo nell'altra, perché da lì a poco avrebbe preso il treno per tornare a Roma. Piccoli aneddoti, solo apparentemente poco significativi. Vincenzo Santopadre lo sa: le grandi case si costruiscono con piccoli mattoncini. “Berretto” ha avuto il merito di capirlo fin dall'inizio, senza farsi abbattere dai momenti difficili (su tutti, un fastidioso infortunio al ginocchio che lo ha tenuto fermo per quasi tutto il 2016). È proprio il passato ad accendere l'ottimismo per il futuro: Berrettini è cresciuto nel modo giusto, costruendo una corazza che gli permetterà di resistere alle piogge e alle tempeste che inevitabilmente arriveranno. Oggi è inutile ipotizzare dove potrà arrivare, sia in termini di ranking, che di exploit, che di avversari battuti. Sarebbe stupido farsi prendere dall'entusiasmo per una vittoria, per quanto bellissima. Dieci mesi fa diceva che avrebbe messo la firma per un best ranking alla Fognini, di cui ammira la continuità, ovvero la capacità di restare per anni tra i primi 20-25. Per ora, ci rifacciamo a quelle parole. Per il resto, Matteo può essere il simbolo di una rinascita umana, morale e comportamentale di cui si sentiva un gran bisogno. C'è da augurarsi che diventi forte forte. Per lui, ovviamente. Per il tennis italiano, ci mancherebbe. Ma perché ci piacerebbe vedere, tra qualche anno, tanti piccoli aspiranti Berrettini. Siamo certi che ne andrebbe orgoglioso.

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