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“Cambiate nome alla Margaret Court Arena!”

Le recenti affermazioni di Margaret Court contro gli omosessuali e i matrimoni gay hanno acceso un vivace dibattito. Diverse giocatrici hanno chiesto, senza mezzi termini, che la Margaret Court Arena cambi nome. “Vedremo chi ci vorrà giocare e chi no” dice Samantha Stosur.

Il Roland Garros sta entrando nel vivo, ma in questi giorni si parla anche dell'Australian Open. L'anomalia è resa possibile dalle recenti affermazioni di Margaret Court, la giocatrice più titolata di sempre (almeno negli Slam), a cui è dedicato uno dei campi principali di Melbourne Park. E' così dal 2003, quando Tennis Australia ha rinominato lo “Show Court 1” per onorare la mitica giocatrice degli anni 60-70. Ma non è detto che sarà ancora così nel 2018. Motivo? I commenti anti-gay della 74enne Court, oggi residente a Perth. Che non amasse le unioni omosessuali era noto: nei giorni scorsi, tuttavia, ha scritto una lettera (pubblicata dal West Australian) in cui è stata molto pesante. In sostanza, è arrabbiata con il direttore esecutivo di Qantas (compagnia di bandiera australiana), perché favorevole ai matrimoni tra persone dello stesso sesso. “Credo che il matrimonio debba essere tra un uomo e una donna, come dice la Bibbia – ha scritto la Court – la sua scelta mi obbligherà a optare per altre compagnie”. Qualche giorno dopo, in un'intervista radiofonica, ha rincarato la dose. Secondo la Court, l'attuale circuito WTA è pieno di lesbiche che sfruttano la loro influenza per portare le più giovani “dalla loro parte”. Si è poi avventurata in un paragone decisamente ardito, comparando l'influenza di genere al nazismo e al comunismo: “E' lo stesso che avevano fatto loro: entrare nelle menti dei bambini”. La Court ha incassato la solidarietà di Malcolm Turnbull, Primo Ministro australiano: a suo dire, la Margaret Court Arena non deve cambiare nome, poiché la Court può esprimere le sue opinioni “e prendere gli aerei che vuole”.

REAZIONI SDEGNATE
La voce di Turnbull è isolata, poiché il mondo del tennis si è scatenato. Tra le più arrabbiate c'è la doppista Casey Dellacqua, che ha scelto Twitter per pubblicare una lettera della stessa Court, risalente a quattro anni fa, in cui – appresa della maternità della compagna della Dellacqua – aveva parlato di una “generazione senza padre”. “E' troppo, è troppo” ha twittato la Dellacqua, aggiungendo di aver lasciato correre all'epoca perché “era un periodo felice della mia vita e non volevo che mi fosse rovinato”. Stavolta non si è trattenuta e ha incassato la solidarietà di diverse giocatrici, tra cui Samantha Stosur. Quest'ultima ha addirittura twittato per la prima volta nel 2017. “Al prossimo Australian Open supereremo il ponte – ha detto Sammy – vedremo chi vorrà giocare sulla Margaret Court Arena e chi non vorrà”. Anche chi non si è espresso pubblicamente, insomma, dovrà prendere posizione. Arrabbiate anche Madison Keys, Ashleigh Barty, Andrea Petkovic e Martina Navratilova (in una lettera al Sydney Morning Herald, ha addirittura parlato di omofobia). Molto forte l'opinione di Richel Hogenkamp. L'olandese è omosessuale dichiarata e ha detto: “Credo che quel campo dovrebbe cambiare nome. Se hai una posizione del genere, diversi giocatori si rifiuterebbero di giocare su un campo intitolato a Margaret Court”.

LE OPINIONI DI MARGARET
Tra l'altro, l'impianto è stato recentemente ristrutturato. Hanno aumentato la capienza a 7.500 posti, costruendo un tetto retrattile. E' il secondo campo più importante dell'Australian Open, sebbene l'Hisense Arena abbia una capienza maggiore. Grazie alla sua polivalenza, ospita eventi di vario genere, concerti compresi. ATP e WTA si sono schierati contro la Court, mentre Tennis Australia ha mantenuto una posizione politically correct: “Quelle di Margaret Court sono opinioni personali, in contrasto con i nostri princìpi di uguaglianza e inclusione delle diversità”. Non è la prima volta che la Court esprime idee quantomeno particolari. Qualche anno fa, per esempio, disse che il cristianesimo era “troppo avanti” per gli aborigeni. Quando giocava, si lanciò in un'affermazione apparentemente pro-Apartheid. Negli anni 70, la politica sudafricana non fece entrare Arthur Ashe nel paese, solo per il colore della sua pelle. “E' molto triste che la politica sia entrata in questa faccenda – disse la Court – ma se devo dare un parere, credo che il Sudafrica abbia la politica razziale più organizzata di ogni altro paese, certamente migliore rispetto agli Stati Uniti”. Pensate se avesse pronunciato una frase del genere in questi giorni. Non resta che attendere cosa succederà nei prossimi mesi. O magari direttamente a gennaio, a Melbourne, per un Australian Open che si annuncia molto caldo. E non solo per il clima.

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