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Bracciali-Starace: senza prove non si condanna

IL CASO – La Corte Federale di Appello assolve Starace e riduce a 12 mesi la squalifica a Bracciali. L'ossatura della sentenza si basa sulla totale assenza di prove certe. La sanzione all'aretino si fonda sull'unico fatto acquisito. Analisi (e spiegazione) del dispositivo.  

BRACCIALI - STARACE: LA SENTENZA DELLA CORTE FEDERALE DI APPELLO


Lo scorso 7 agosto spendemmo 23.000 battute per descrivere la sentenza di primo grado. 46 pagine che decretavano la morte sportiva di Daniele Bracciali e Potito Starace. Oggi saremo più sintetici perché la sentenza della Corte Federale di Appello, siglata da Alfredo Biagini (presidente), Mario Procaccini e Luigi Supino, non si presta ad alcun tipo di considerazione se non a una mera descrizione. Una sentenza che ribalta completamente l'esito di due mesi fa e riabilita al 100% Starace e per un buon 90% anche Bracciali. Il concetto del “più probabile che non” adottato in primo grado è stato letteralmente spazzato via e sono stati messi a nudo, sia pure con un linguaggio morbido e tanti riferimenti di giurisprudenza, tanti punti che avevano lasciato francamente perplessi. Insomma: Potito Starace è stato assolto mentre Bracciali ha visto ridursi la sospensione a 12 mesi (più 20.000 euro di sanzione). Tra l'altro, la punizione scadrà il prossimo 11 febbraio. In altre parole, “Braccio” potrà programmare il 2016 più o meno nella sua interezza. La sensazione è che voglia andare avanti nonostante i 37 anni di età. E non è da escludere un ulteriore ricorso al Collegio di Garanzia del CONI: lo fa pensare una dichiarazione di Alberto Amadio, uno dei due avvocati. “Sono convinto che la sospensione verrà ulteriormente ridotta o annullata completamente”. L'impressione è che l'aretino sia carico come non mai, ma di questo avremo tempo e modo di parlare. La sentenza della Corte Federale di Appello è addirittura più lunga della prima (54 pagine), ma ben 34 sono dedicate agli aspetti di rito. Sono poco interessanti per almeno due ragioni:

  • Non parlano del fatto in sé, ma di questioni procedurali sollevati dalle difese.

  • Non hanno avuto alcuna rilevanza perché sono stati rigettati dal Collegio.

Per onor di cronaca, li riportiamo brevemente perché costituiscono giurisprudenza per eventuali questioni future.
 

- Le difese ipotizzavano l'estinzione del processo di primo grado perché la sentenza non era arrivata entro i 90 giorni previsti dal regolamento. Il Collegio ha ritenuto validi ben 53 giorni di sospensiva richiesti dalle stesse. Per questa ragione, il termine ultimo è slittato al 3 settembre. La sentenza risale al 6 agosto, quindi è perfettamente regolare. Respinta l'eccezione della difesa di Bracciali, che sosteneva di non essere soggetta alle sospensioni perché tutte richieste da Luigi Chiappero, avvocato di Starace. “Il processo si svolgeva su un unico binario, inoltre non avevate eccepito nulla” ha sintetizzato la sentenza.
 
- Le difese hanno definito irregolare il primo grado di giudizio perché il procedimento si è svolto secondo il nuovo Regolamento di Giustizia, risalente al 23 dicembre 2014, mentre le indagini erano partite prima. Obiezione respinta perché il vecchio codice non regolava l'attività della Procura Federale, che NON è equiparata a un organo di giustizia. Per questa ragione, poteva operare già prima del 23 dicembre. Il nuovo codice consente di farlo in collaborazione con la Procura Generale del CONI e comunque gli atti sono stati trasmessi il 15 aprile 2015, segno che gran parte dell'indagine si è svolta sotto l'egida del nuovo codice. Tra l'altro è stata spesso citata la legge 401 del 1989, che autorizza la Giustizia Sportiva a chiedere gli atti dei procedimenti penali. L'utilizzo del materiale di Cremona è stato ritenuto perfettamente regolare, tanto che la stessa Corte Federale di Appello ne aveva predisposto l'acquisizione.
 
- La presenza della FIT. Le difese non ritenevano giusta la presenza di un terzo elemento. Tuttavia, è stato citato l'articolo 99 del Regolamento di Giustizia che invece ammette la presenza dei terzi. Su questo punto, è molto interessante il passaggio in cui la Corte ha rivendicato la propria indipendenza dalla FIT. Vale la pena riportarlo: "Agli Organi di Giustizia Sportiva, ancorchè nominati dal Consiglio Federale, è riconosciuta piena autonomia, con l'evidente corollario che non possono in alcun modo essere assimilati a "Organi Federali": Il loro agire è connaturato dai criteri di autonomia e indipendenza, oltreché imparzialità (considerate anche le modalità di selezione dei componenti degli Organi Giudicanti e il sistema di controllo che ne valuta l'operato), senza i quali dovrebbe opinarsi addirittura in ordine alla terzietà degli Organi Giudicanti, con conseguente travolgimento del sistema della giustizia sportiva, e prima ancora del "vincolo di giustizia"
 
- Il principio del “Giusto Processo”. Le difese ritenevano che in primo grado ci fossero state alcune violazioni processuali. Il nuovo Codice di Giustizia CONI, in vigore dal 15 giugno 2014, parla di “Giusto Processo”, citando l'articolo 111 della Costituzione. In realtà, ricorda il Collegio, già in precedenza erano ritenuti validi i principi del Giusto Processo, ovvero: “contradditorietà, parità tra le parti, terzietà dei giudici e ragionevole durata del processo”. Il principio esposto dalle difese è stato accettato, ma non sono stata individuate violazioni di natura processuale. In primo grado, tutto si è svolto regolarmente.
 
- L'utilizzo delle intercettazioni. Viene citata ancora una volta la legge 401/1989, oltre a una lunga giurisprudenza che ha sancito l'utilizzabilità delle intercettazioni anche se possono violare la sfera personale delle persone. In definitiva, il Collegio ha ritenuto utilizzabili le intercettazioni:"In funzione degli elementi suscettibili di valutazione che le stesse sono in grado di fornire".

 

STARACE, NON CI SONO PROVE: ASSOLTO

Sono faccende piuttosto noiose (a parte l'orgogliosa rivendicazione dell'indipendenza degli Organi di Giustizia), che però meritavano di essere ricordate perché hanno occupato moltissimo tempo in fase di udienza, nonché un buon 60% del dispositivo. Circa 20 pagine vertono sul merito ed è sorprendente che 15 siano dedicate a Potito Starace, e solo le ultime 5 a Bracciali. In estrema sintesi, l'assoluzione di Potito è dovuta all'insussistenza di prove. Dobbiamo essere onesti: non si tratta di “insufficienza di prove” come si diceva fino a qualche tempo fa, ma di totale assenza. Biagini è chiaro quando scrive: “A tutto voler concedere, non rinvengono elementi di prova immediatamente riferibili a Potito Starace: non sono state, cioè, rinvenute intercettazioni telefoniche rilevanti, e-mail inviate o ricevuta da Starace ai soggetti coinvolti nella vicenda penalmente rilevante, chat o SMS trasmessi da o per Starace che possano acquisire significato ai fini di determinare la certezza del suo coinvolgimento. In sostanza, la “colpevolezza” del sig. Starace, come alfine dichiarata dal Tribunale di primo grado, rinverrebbe da alcuni elementi aliunde rispetto al materiale probatorio acquisito”. La sentenza prosegue spiegando che lo stesso Manlio Bruni ha ammesso che il coinvolgimento di Starace non è stato appreso in forma diretta ma tramite rassicurazioni di Bracciali. A quel punto la sentenza spiega che non è ammissibile (bensì “eccentrico”) il ricorso al principio del “più probabile che non” utilizzato in primo grado e che tanto aveva fatto arrabbiare Filippo Cocco. Secondo la Corte, nel caso specifico bisognava semplicemente verificare che sussiste o meno la prova della responsabilità. E tale prova deve essere ispirata a criteri di: “ragionevolezza, plausibilità e verosomiglianza, oggettività, specificità, non apoditticità e responsabilità”. Partendo da questo assunto, vengono citati alcuni verbali degli interrogatori di Bruni e Goretti. Il primo ha detto che Starace avrebbe partecipato a una delle “cene conviviali”, arrivando soltanto a metà cena senza però parlare di presunti atti illeciti. Al contrario, Goretti ritiene che Bruni avrebbe effettivamente chiesto disponibilità a Starace “senza ricevere risposta, né positiva né negativa”. In merito al match contro Daniel Brands a Monaco di Baviera nel 2009, la scommessa avrebbe fruttato 60.000 euro, di cui 50.000 per Starace e 10.000 da dividersi “tra gli altri”. Ma in tutto questo, Potito non partecipa mai. E loro stessi affermano di non averci mai parlato. “Quanto risultante dai verbali di interrogatorio degli indagati nell'ambito del processo non consente di affermare con una probabilità elevata il coinvolgimento di Starace”. Inoltre, le cifre menzionate sono ritenute “inverosimili”. In altre parole, il Collegio ritiene che non sia stato raggiunto il "grado di prova sufficiente anche solo superiore alla semplice valutazione della probabilità e inferiore a ogni ragionevole dubbio”. Per questo, in assenza di prove, Starace vede la luce e la sentenza di primo grado viene rigettata nella sua interezza.


BRACCIALI, ECCO PERCHE' UN ANNO DI SQUALIFICA

Le ultime pagine della sentenza sono dedicate a Daniele Bracciali, colui che un anno fa sembrava il più compromesso. E' stata ritenuta importante la testimonianza del Generale Umberto Rapetto dello scorso 26 settembre, in cui ha persuaso il Collegio che dalle risultanze fosse impossibile stabilire con certezza chi si celasse dietro le chat incriminate. Il Collegio ha deciso di non considerare le risultanze delle intercettazioni proprio in virtù di quanto detto da Rapetto (e confermato anche dai tecnici di parte convocati dalla Procura). Tuttavia, secondo il Collegio tale materiale non è rilevante perché viene ritenuto pacifico che Bracciali abbia intrattenuto rapporti, anche continuativi, con Bruni e Goretti. Questo è stato ammesso anche dall'aretino, che però nega di aver commesso atti illeciti ed anzi di essersi defilato a fronte di atteggiamenti ossessivi da parte del Bruni. Utilizzando lo stesso criterio usato per Starace, anche su Bracciali si ritiene che manchi un grado di prova superiore alla semplice valutazione della probabilità "che abbia interloquito con altri tennisti per cercare di manipolare i match". Allora come mai non è stato assolto? Semplice: il Collegio ha ritenuto piuttosto grave il fatto che abbia comunque parlato con Bruni e Goretti. Avrebbe dovuto declinare qualsiasi tipo di rapporto, anche in virtù del suo ruolo di Consigliere Federale. Insomma, ha violato i principi dell'Articolo 1 del Regolamento di Giustizia, quello che parla genericamente di correttezza. E così la sanzione inflitta è di un anno, con 20.000 euro di sanzione. Di questi dodici mesi, ne ha già scontati otto. Significa che a febbraio potrà riprendere a giocare.


UNA SENTENZA INATTACCABILE

Termina qui la tesa (e faticosa) vicenda endofederale. Tutto quello che dodici mesi fa sembrava un “tutto”, poi confermato dalla sentenza di primo grado, si è rivelato un “quasi niente” (niente assoluto per Starace). Non c'è dubbio che i due giocatori siano stati vittima di una pesantissima campagna mediatica che ne ha devastato l'immagine e li ha spinti a smettere di giocare e/o allenarsi. Onestà giornalistica impone di ricordare che le chat restano e lasciano comunque dubbi, anche tenendo conto di quello che sta accadendo (ed emergendo, anche se a scaglioni) nel tennis. Resta il dubbio che l'attività di indagine (da Cremona in giù) non si sia svolta nel migliore dei modi e che questo abbia finito con l'indebolire l'impianto accusatorio. Forse c'era spazio per trovare prove più incisive e inattaccabili: non è stato fatto. Dopo aver assistito al Processo di Appello, per correttezza, non ci eravamo pronunciati sul toto-sentenza. Oggi possiamo farlo: avevamo ipotizzato una squalifica da 1 a 3 anni per entrambi. Era chiaro che la radiazione sarebbe stata revocata. Ci abbiamo preso per Bracciali, mentre il Collegio ci ha stupito su Starace. La sentenza è comunque motivata e soprattutto non è attaccabile perché non si avventura in considerazioni tecniche come era stato fatto in primo grado (con effetti – ci spiace dirlo – persin comici). Biagini, Supino e Procaccini hanno dato un'impostazione molto rigorosa alla sentenza: si sono attenuti alla ricerca della prova. Non l'hanno trovata e dunque hanno assolto, punendo Bracciali sulla base dell'unica certezza: gli avvenuti dialoghi con Bruni e Goretti. Fine. Una sentenza pressoché inattaccabile effettuata da un Collegio che – giova ricordarlo – aveva acquisito una forte credibilità dando accesso alla stampa alle udienze. Tale punto è di importanza capitale perché ha garantito trasparenza assoluta al procedimento. La stessa trasparenza e onestà intellettuale che TennisBest ha garantito al suo unico Organo Giudicante: i lettori.

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