E pensare che nel 2012 a Miami il burrascoso John Tomic l’aveva definito “poco adatto” per allenarsi con suo figlio Bernard, perché il secondo era nel main draw, mentre a Daniel Evans toccavano le qualificazioni. L’anno dopo allo Us Open è arrivata la prima rivincita, servita in quattro set, ma evidentemente al 26enne di Birmingham non è bastato. V
oleva vendicare quella frase davanti a tutta l’Australia, e ha teso ai Tomic un’altra trappola, a casa loro. Prima è andato a prendersi il face-to-face sbattendo fuori Marin Cilic, e poi l’ha vinto in tre set, 7-5 7-6 7-6 davanti agli oltre novemila della Hisense Arena. Un successo di tennis ma anche di nervi, necessari per vincere tre set su tre al fotofinish e ribadire che ora il talento è un alleato, non più qualcosa di troppo ingombrante per stringerci amicizia.
La sua storia da “bad boy”, fatta di zero voglia di faticare, notti nei pub, rapporti turbolenti con la LTA britannica e pure un’ipotesi di ritiro nel 2015 ve l’abbiamo raccontata sette giorni fa, quando ha raggiunto a Sydney la sua prima finale ATP, ma il personaggio è talmente curioso che a ogni capitolo regala un nuovo episodio. L’ultimo riguarda addirittura l’abbigliamento. Il dicembre scorso gli è scaduto il contratto con Nike, e non è andata come pensava: “
Avrei rinnovato volentieri, e credevo fosse lo stesso per loro”. Invece si è trovato a iniziare il 2017 senza sponsor tecnico, e senza offerte da valutare. Nei primi due tornei ha indossato i completi dello scorso anno, ma per l’Australian Open ha deciso di cambiare. Così
domenica mattina si è fatto portare in un centro commerciale per fare un po’ di shopping. “Mi sono comprato una ventina di t-shirt griffate Uniqlo, a 19.99 dollari l’una”, ha raccontato. La metà completamente bianche, l’altra metà blu. Le ha scelte perché non avevano alcun logo in evidenza, così come i calzoncini. “
Ma di quelli non so nemmeno la marca, ero più concentrato sulle magliette. Non sono della miglior qualità, ma va bene così”.