Riccardo Bisti - 25 January 2019

LORENZO MUSETTI, L'ENFANT PRODIGE / PARTE II

La seconda e ultima parte dell'intervista a Lorenzo Musetti, 16 anni, finalista allo US Open junior e grande promessa del tennis azzurro. Gran talento con uno stile notevole e una mentalità già da professionista. Ha cominciato nello scantinato della nonna e adesso punta molto in alto.

(leggi la prima parte dell'intervista)

Se si diventa forti, pochi ricordano i risultati giovanili, mentre i successi nei tornei junior tornano a galla soltanto quando si fallisce da professionista: ti stanno educando all'idea che ti attende una transizione molto delicata verso il circuito pro?

Sicuramente. Il pericolo di fare bene da junior è pensare di essere arrivato, mentre la strada è ancora lunga. Non devo montarmi la testa solo perché ho giocato la finale dello US Open junior a 16 anni perché non significa che a 20 giocherò lo Us Open vero. Può essere, ma solo se si continua a lavorare con umiltà. Tante grandi promesse del passato sono state rallentate da problemi e pressioni che non li hanno fatti emergere tra i pro, come invece ci si poteva aspettare. Io voglio lavorare per un finale diverso.

Hai mai pensato che perdere la finale dello US Open junior sia stato un bene?
A caldo non l'ho presa bene, ma anche secondo me è stato un bene. Una sconfitta è sempre uno stimolo in più per fare meglio. E comunque, meglio perdere una partita oggi che quando conterà di più. Me l'hanno fatto notare in molti, ma ero giunto alla stessa conclusione. Non arriverei a definirlo un fatto positivo, ma non è successo nulla di grave.

C'è qualcuno che ti aiuta sotto il profilo mentale?
Non nello specifico, ma c’è sempre Simone: stando così tanto tempo insieme, tutte le mie problematiche di natura tennistica le cura lui. Una volta, a Tirrenia, ho fatto una lezione con Lorenzo Beltrame ma è stata soprattutto una chiacchierata. Potrebbe essere comodo avere un aiuto specifico dal punto di vista psicologico, ma per adesso non ho particolari problemi ed è ancora presto. In futuro si vedrà.

Qualcuno sostiene che nel tennis, essere troppo intelligenti non aiuti perché se hai troppe idee in testa, rischi di fare confusione: come la pensi?
Non è un'osservazione stupida: quando hai tante carte nel mazzo puoi effettivamente fare confusione. D’altro canto però, se non ti confondi, al 90% vinci. Certo, rimane quel 10% che può scompigliare le carte. Penso a Kyrgios: non dà l'idea di essere troppo intelligente sul campo, ma serve a 220 km/h e gioca punti spettacolari: che vuoi fare quando gioca così? Resta comunque una considerazione interessante, da tenere presente anche perché io ho un gioco piuttosto vario. A volte uso lo slice, la palla corta: in ogni caso, resto dell'idea che avere tante armi a disposizione sia un vantaggio.

Oggi piovono i paragoni con Gianluigi Quinzi. C'è stato un periodo in cui si allenava con Riccardo Piatti, ma è terminata per divergenza di vedute: il coach pensava a lungo termine, la famiglia di Quinzi voleva risultati immediati. Più o meno sostenevano: “Se uno è il più bravo della classe alle medie, perché deve andare male al liceo solo perché si sta preparando per l'università?”. Chi aveva ragione?
Credo esista una via di mezzo. Non fa male vincere o essere tra i più bravi da junior. Tuttavia, eccellere troppo e diventare un personaggio già a quell'età potrebbe creare delle difficoltà, come poi è successo a Quinzi. Credo che sia importante confrontarsi con i coetanei e non concentrarsi solo sull'allenamento, però non bisogna puntare esclusivamente alla vittoria, bensì a un percorso di crescita più ampio.

Quanto è faticosa la tua vita?
Agli occhi degli altri, molto. Prendere continuamente aerei non è la cosa più divertente del mondo, però è una mia scelta. Posso girare il mondo e fare quello che amo, ovvero giocare a tennis. Può essere faticoso allenarsi ogni giorno, ma se vuoi diventare forte è la strada da percorrere. Sinceramente non mi pesa.

Tra l'altro la tua routine prevede il coinvolgimento di più persone.
Vero. La giornata inizia quasi sempre con mia mamma: partiamo da Carrara, facciamo 15 minuti di autostrada fino a La Spezia, poi vicino al casello mi viene a prendere Benedetta Di Carlo, istruttrice allo Junior San Benedetto, che mi dà un passaggio fino al club. La devo ringraziare per tutto quello che sta facendo per me, anche come segretaria, visto che ha accesso alle mie mail e segue alcune faccende burocratiche. Nel pomeriggio, mia mamma viene a riprendermi e intorno alle 17.30 sono a casa per dedicarmi allo studio. Frequento il liceo linguistico: dopo un anno alla scuola pubblica, adesso studio da privatista.

Lo Junior Tennis San Benedetto è un circolo piccolo, semplice, senza strutture clamorose: quali vantaggi ci possono essere nello stare in un ambiente così familiare?
Ci si allena bene. Ho i campi a disposizione e posso allenarmi quando voglio, senza dimenticare che Simone è sempre a mia disposizione. Le strutture ci sono, perché posso giocare sia sulla terra sia sul cemento, all'aperto e indoor. E si può lavorare tranquillamente anche in palestra. Siamo in mezzo alla natura e l’atmosfera mi piace tanto.

Chi ti segue a livello atletico?
Fino all'anno scorso lavoravo con Francesco Cerrai, uno dei preparatori di Tirrenia. Credo che mi seguirà anche quest'anno, ma il programma viene preparato da Stefano Barsacchi, direttore dei preparatori atletici a Tirrenia. A San Benedetto c'è un ragazzo, Jacopo, che si assicura che il programma venga rispettato.

Che percezione hai della storia del tennis italiano?
Siamo stati più forti a livello femminile dove abbiamo vinto di recente due Slam e tante Fed Cup, mentre tra gli uomini abbiamo vinto una sola Coppa Davis. Adesso però, con i risultati di Cecchinato e l'arrivo dei vari Berrettini e Sonego credo ci sia una bella crescita anche nel settore maschile. Io spero di diventare un giocatore di punta.

Nel circuito junior hai incontrato ragazzi di ogni parte del mondo: ti è mai capitato di percepire una maggiore fame, dovuta al fatto che provengono da situazioni meno comode?
C'è tantissima gente che ha poche risorse economiche o viene da luoghi un po' disagiati. In campo si vede: hanno grande voglia, grinta e sono forti. C'è gente che non mollerà mai un punto e lo sai in anticipo. Penso a chi viene dalla Bulgaria o magari da un paese come l'Argentina: hanno tradizione, ma anche una grande voglia di arrivare.

Cosa hai imparato da loro?
Che magari giochi meglio ma in quel momento l’altro ha grande voglia e può metterti in difficoltà. Io cerco sempre di sovrastare l'avversario con il gioco, provo a vincere la partita utilizzando le armi che preferisco.

Da piccolo volevi fare l'attore: solo una suggestione d'infanzia?
Mi piaceva da matti Hollywood, ma è durata poco. Appena ho iniziato a giocare a tennis, il mio sogno si è spostato sullo sport, sul desiderio di diventare un professionista. La mia parte hollywoodiana è svanita presto e adesso penso solo al tennis.

© RIPRODUZIONE RISERVATA