Riccardo Bisti - 23 June 2018

Enrico Burzi, il tennista che gioca a padel

Già numero 250 ATP e ottimo professionista della racchetta, il bolognese Enrico Burzi si è scoperto grande appassionato della "pala", nonché ottimo giocatore. Fa la spola tra Italia e Spagna, alternando tennis e padel, e ha anche messo in piedi un'attività di commercio online. E ci racconta perché un circolo dovrebbe investire sul padel.

Enrico Burzi è la risposta vivente a chi pensa che tennis e padel non possano andare di pari passo. Bolognese, classe 1981, è stato un ottimo professionista della racchetta. Numero 256 ATP nel 2012, avrebbe potuto salire ancora più in alto: “Ho iniziato a giocare i Futures troppo tardi, a 23 anni: non ero stato ben indirizzato. Tra maestri che non credevano troppo in me, poca convinzione e gli studi all'università, ho perso un po' troppo tempo”. Parallelamente al tennis, il bolognese ha portato avanti una passione sfrenata per il padel. Terminata l'attività internazionale, fa la spola tra Italia e Spagna e gioca in Serie A sia a padel che a tennis. La sua profonda conoscenza della disciplina, nonché della “sacra” realtà spagnola, lo rende un interlocutore particolarmente prezioso.

Come è nata la tua passione per il padel?
Circa 20 anni fa. Mi avvicinai tramite un amico con cui giocavo a tennis, poi la passione è gradualmente cresciuta negli anni. Recandomi spesso in Spagna, durante le vacanze estive mi capitava di giocare. È sempre stato un hobby nel tempo libero. Se giochi a tennis, all'inizio il padel non ti piace. Non capisci, sei abituato al tuo sport. Hai bisogno di 5-10 allenamenti, ma appena entri nella giusta mentalità diventa una droga

Per anni hai giocato solo per diletto, privilegiando il tennis. Se avessi scelto il padel, a che livelli saresti arrivato?
Non vorrei sembrare presuntuoso, ma parecchio in alto. Nella vita può succedere di tutto, ma credo che avrei potuto raggiungere grandi traguardi anche se avessi smesso un po' prima con il tennis. Anche adesso, pur non essendo professionista, mi capita di giocare ad alti livelli. Quando mi trovo a Murcia affronto sempre avversari molto forti. La scorsa settimana, insieme a un ragazzino di 17 anni (tra i più forti nella sua categoria di età), abbiamo perso 6-4 7-5 contro due professionisti del World Padel Tour. Ancora oggi recriminiamo per qualche occasione perduta.

Il tuo legame con il padel non si limita all'attività sul campo...
Vero. Tempo fa, con i miei amici storici del padel di Bologna avevamo gestito alcuni campi, rendendoci conto che andava alla grande. In quel periodo abbiamo preso contatti con alcune aziende, così tre anni e mezzo fa abbiamo aperto un sito internet (www.racsport.it) per la vendita del materiale. Il gioco si stava diffondendo e in Italia non era semplice trovare l'attrezzatura: quasi tutti i negozi si trovavano in Spagna e non spedivano ancora in Italia. Il business va benino, anche se non è la nostra attività principale. Nella vita facciamo altro: se ci avessimo dedicato più tempo, sarebbe andato ancora meglio. Per noi è una passione.

Quanto tempo trascorri sul campo?
Difficile rispondere, vado a periodi. In Italia faccio un po' fatica perché non ho molte persone con cui giocare. Mi sposto tra Bologna e Roma, senza dimenticare che gioco ancora a tennis, sia nella A2 italiana che nella Bundesliga in Germania. Anche quando mi trovo in Spagna mischio un po' le due attività. Diciamo che faccio 2-3 mesi di padel e 2-3 mesi di tennis.

In Italia il padel sta vivendo un portentoso boom di popolarità: a cosa è dovuto?
Grazie al sito mi chiamano in molti: mi sono reso conto che il materiale viene acquistato un po' da tutta Italia. Parlando con i clienti più affezionati posso dire che, quando si crea un nucleo di praticanti, l'espansione è molto rapida. La formula vincente? È uno sport adatto a tutti. Inoltre è “socievole”, poiché si gioca sempre in 4. Il campo non è troppo grande e ci vuole poco per imparare: anche chi non hai mai preso una racchetta in mano può fare quasi subito una partita. Possono giocare tutti. Il tennis richiede una maggiore preparazione atletica, ma soprattutto devi fare 50.000 lezioni prima di poter palleggiare a un livello decente. Il padel è molto più immediato.

Due anni fa dicevi che avresti proseguito con il tennis perché gli incentivi economici sono maggiori. È cambiato qualcosa? Il padel può garantire buoni guadagni?
Mi auguro di sì, soprattutto col tempo. La buona notizia è che si sta diffondendo anche al di fuori dell'Europa: Stati Uniti, Asia, Giappone, Australia... la scorsa settimana si è giocato il primo torneo in Africa, in Senegal. I più forti guadagnano abbastanza, ma gli introiti arrivano soprattutto dagli sponsor e meno dai montepremi. I migliori 10 stanno bene, ma se scendi si fa più fatica. Però ci sono ottimi margini, poiché si gioca quasi soltanto in un paese. I guadagni passano anche da una maggiore esposizione mediatica: in Spagna sta crescendo a vista d'occhio, hanno fatto un accordo con la TV per la trasmissione di semifinali e finali dei tornei del World Padel Tour. Il pubblico è numeroso, i palazzetti sono spesso pieni. Sta crescendo, adesso si giocano tornei del World Padel Tour anche fuori dalla Spagna: Portogallo, Dubai, Monaco, Svezia, qualche esibizione in Belgio....

Il padel ti diverte più del tennis. Come mai?
Potrei dire che il tennis mi ha un po' “stufato”. Dopo tanti anni di agonismo sono un po' alla frutta, il campo è sempre più grande. Al contrario, il padel è un mondo ancora da scoprire e offre molte più varianti. Sono il primo a riconoscerlo: sul campo da tennis avevo un gioco un po' noioso, non ero troppo talentuoso e non avevo colpi-killer come servizio e dritto. Dovevo “remare”. Il padel è un gioco nuovo, mi piace molto. Inoltre puoi sempre cambiare compagno, trovi avversari sempre differenti... insomma, mi piace il fatto che ci siano tante variabili.

Pensando alla sua diffusione in Italia, pensi che sia più utile l'arrivo di Belasteguin o un'iniziativa come lo Street Padel Tour?
La seconda, non c'è paragone. In Italia siamo troppo indietro: se arriva Belasteguin non cambia molto, perché il 99% della gente non sa neanche chi è. La spesa necessaria per portarlo in Italia potrebbe servire a far conoscere il gioco a molta più gente. La Serie A ha tanti ottimi giocatori, ma non ha tutto questo appeal: su otto squadre, sette sono di Roma. A mio avviso la formula è sbagliata, poiché giocano quasi esclusivamente stranieri, argentini con il passaporto italiano. A questo punto si potrebbe liberalizzare la presenza di stranieri e far giocare anche gli spagnoli...

Consiglieresti a un circolo tennis di costruire campi da padel?
Senza dubbio. È un gioco nuovo, in espansione e attrae tante gente, nuovi soci, nuovi appassionati. Qualche anno fa partecipai a un torneo Futures a Reus, nei pressi di Barcellona. Vinsi il torneo e parlai con il presidente: mi disse che il padel gli aveva permesso di incrementare il numero di soci in misura spaventosa. Aveva iniziato con 2-3 campi e fu praticamente costretto a costruirne 10. La scorsa settimana mi hanno contattato da Forte dei Marmi chiedendomi un consiglio. Ho risposto così: “Fatelo assolutamente, senza neanche pensarci”. Ritengo che vadano costruiti almeno due campi, perché con uno si fa poco. Poi ci vuole qualcuno che lo segua, che faccia gruppo e chiami sempre più gente a giocare. Una volta che si è creato il movimento, la gente si organizza per conto proprio. Ma un campo non è sufficiente: se il maestro deve fare lezione è sempre occupato e non si riesce a giocare. Poi è come il tennis: lo trovi occupato sempre nelle stesse fasce orarie, mentre in altre è vuoto. Bisogna costruire almeno due campi.

Considerando il numero crescente di praticanti, pensi che servirebbe una federazione autonoma o va bene che continui a occuparsene la FIT?
Secondo me, già adesso dovrebbe iniziare ad esserci autonomia. Non ho ancora capito quanto la FIT sia interessata al padel: da un lato può avere grosse potenzialità, dall'altro va detto che in Italia il tennis vanta grandi numeri. Per questo potrebbe non esserci interesse, voglia o tempo per svilupparlo in modo adeguato. Tuttavia, guardando cosa è successo in Spagna, se li imitiamo potrebbe esserci un boom. Visto che la FIT è una forza economica, è stata una buona cosa lanciare l'attività sotto la loro ala protettiva, perché ha garantito un buon impulso iniziale. Adesso non so se stiano dando il giusto interesse. Una federazione autonoma non sarebbe male, ma ci vorrebbero persone capaci.

Se un tennista fosse un po' perplesso prima di iniziare con il padel, cosa gli diresti?
Prima di tutto di provare. Come detto, bisogna giocare 5-10 volte prima di trovare il giusto feeling, magari con qualcuno che abbia già un po' d'esperienza. Quando un tennista entra nel campo da padel, solitamente gioca a minitennis: è normale. Per crescere non bisogna pensare a vincere il punto, ma imparare a giocare. Molto meglio perdere il punto ma capire rimbalzi, sponde e geometrie. Sono conoscenze che in prospettiva aiutano a vincere.

Organizzare un evento del World Padel Tour potrebbe dare una mano alla diffusione della disciplina?
Sicuro. Mi era giunta voce di una possibile organizzazione quest'anno, ma di sicuro si stanno muovendo. La stessa FIT aveva già provato ad acquistare una data, ma avevano ottenuto solo un'esibizione. Tuttavia, credo che a breve arriverà. Ma prima bisogna diffondersi ancora un po' e radicarsi in tutto il paese, non soltanto a Roma. In fondo anche il calcetto era partito a Roma, salvo poi diffondersi dappertutto. Un torneo del World Padel Tour potrebbe creare un risalto maggiore rispetto a un'esibizione o all'arrivo di un singolo campione. Un evento di un certo livello è auspicabile, ma prima ci deve essere una buona base: sempre più gente deve sapere cos'è il padel. Per questo, è molto positivo che ci siano dei campi al Foro Italico durante gli Internazionali d'Italia.

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