Riccardo Bisti
19 October 2018

Tie-break sul 12-12: ne valeva davvero la pena?

L'All England Club cede alle pressioni dei giocatori e istituisce il tie-break anche nel quinto set: si giocherà sull'eventuale 12-12. “Forniremo la certezza che la partita terminerà in un tempo accettabile”. A parte l'ennesimo schiaffo alla tradizione, non sembrava un intervento necessario: c'erano pochissimi match maratona.

Come accade spesso in questi casi, l'annuncio arriva con un freddo comunicato. Poche righe che cancellano 140 anni di storia del torneo più antico e prestigioso del mondo. Intendiamoci: il tie-break sul 12-12 nei set decisivi di Wimbledon non è una rivoluzione come è stata lo sventramento della Coppa Davis, però era una novità di cui non si sentiva il bisogno, dettata dall'onda emotiva di un paio di match dell'ultima edizione, in particolare la semifinale tra Kevin Anderson e John Isner, durata 6 ore e 36 minuti e chiusa 26-24 al quinto. Poco dopo la fine di Wimbledon, un nostro articolo aveva dimostrato come i quinti set a oltranza fossero una percentuale davvero trascurabile rispetto al totale degli incontri, almeno nelle ultime nove edizioni di Wimbledon: soltanto il 4,02% (46 su 1143). Non la pensano così gli organizzatori dell'All England Club. “Dopo una revisione approfondita delle ultime 20 edizioni dei Championships, e dopo una consultazione con i giocatori e gli ufficiali di gara, il tie-break sarà giocato quando il punteggio raggiungerà il 12-12 nel quinto set”. La regola sarà estesa a tutte le gare, dal singolare maschile fino al doppio misto e i tornei junior. “Ritenevamo che fosse giunto il momento di introdurre il tie-break per gli incontri che non avevano raggiunto la loro conclusione a un punto ragionevole durante il set decisivo – ha detto il presidente Philip Brook - pur sapendo che le partite che si prolungano nel set decisivo sono rare, riteniamo che un tie-break sul 12-12 garantisca il giusto equilibrio dando ai giocatori ampie opportunità di completare il match a proprio vantaggio, ma anche fornendo la certezza che la partita terminerà in un periodo di tempo accettabile”.

UNA SOLUZIONE VOLUTA DAI GIOCATORI
Il comunicato termina dicendo che i dettagli saranno condivisi con gli altri Slam, ATP e WTA nella prossima riunione, prevista a Singapore nei prossimi giorni. Come è noto, lo Us Open è (era) l'unico torneo a prevedere il tie-break nel set decisivo. Da adesso, soltanto Australian Open e Roland Garros prevederanno i set decisivi a oltranza. Quella londinese non è stata una scelta facile. Lo ha confermato Richard Lewis, il CEO di Wimbledon. “È giusto dire che c'erano opinioni contrastanti, ma soprattutto i giocatori hanno voluto il tie-break finale – ha detto – hanno riconosciuto che a un certo punto la qualità del tennis scende, giocano più per evitare di perdere che con l'obiettivo di vincere, e riconoscono che influisce sulla qualità delle partite successive”. Nel caso specifico di Wimbledon, l'ultima affermazione non è troppo condivisibile, almeno per quanto riguarda le ultime nove edizioni: nel 40% dei casi, chi è emerso da un match a oltranza ha vinto il successivo. Curiosamente, Wimbledon è stato il torneo più restio ad accettare l'introduzione del tie-break: fu introdotto nel 1971 e per qualche anno fu giocato sull'8-8. Qualche anno dopo sarebbe stato collocato sul 6-6, ma senza mai toccare il set decisivo. Dall'anno prossimo, non sarà più così. Lo storico match del 2010 tra John Isner e Nicolas Mahut, durato 11 ore e 5 minuti, spalmate su tre giorni, e chiuso 70-68 al quinto, resterà imbattuto e irraggiungibile nella storia. Era stato proprio Isner, supportato da personaggi come John McEnroe e Mats Wilander, a proporre una soluzione ibrida, con l'istituzione del tie-break sul 10-10 o sul 12-12. È stato accontentato, in una soluzione che sembra quasi una norma ad-personam. Già, perché sono pochi – pochissimi – i giocatori con caratteristiche tecniche che favoriscono un certo tipo di match. Il gigante di Greensboro è uno di questi.

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